Tanzania: diritto alla terra negato ai maasai del Ngorongoro - Nigrizia
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Tanzania: diritto alla terra negato ai maasai del Ngorongoro
Il governo sta per avviare un piano ricollocazione senza precedenti che interesserà oltre 80mila persone, in larghissima maggioranza pastori maasai, presenti da generazioni nel parco del Ngorongoro. Un piano motivato dalla salvaguardia ambientale e dallo sviluppo del turismo
16 Giugno 2021
Articolo di Bruna Sironi (da Nairobi, Kenya)
Tempo di lettura 4 minuti
Maasai

Il 10 giugno l’Oakland Institute – autorevole centro di ricerca specializzato in temi relativi alla conservazione ambientale in relazione allo sviluppo sociale ed economico – ha diffuso il rapporto The looming threat of eviction for thousands of maasai in Tanzania (L’incombente minaccia di spostamento forzato per migliaia di maasai della Tanzania).

Il sottotitolo ne spiega anche le ragioni The continued displacement of the maasai under the guise of conservation in Ngorongoro conservation area (Il continuo trasferimento forzato dei maasai con la scusa della protezione del parco nazionale del Ngorongoro) zona definita ufficialmente come Ngorongoro conservation area (Nca).

Ѐ il secondo rapporto relativo alla spada di Damocle che pende sulla popolazione autoctona dell’area. Il primo, del 2018, Losing the Serengeti, metteva a fuoco proprio la minaccia costituita dalle valutazioni di organizzazioni internazionali – quali il Centro per l’eredità mondiale dell’Unesco (Whc), l’Unione internazionale per la conservazione della natura (Iucn) e il Consiglio internazionale dei monumenti e dei siti (Icomos) – che si dicevano preoccupate per l’aumento della popolazione e delle attività umane all’interno dell’area protetta.

A seguito delle loro raccomandazioni, il governo della Tanzania ha messo a punto un piano di ricollocazione senza precedenti, che interesserà oltre 80mila persone, in grandissima maggioranza pastori maasai. Secondo il programma, annunciato lo scorso aprile, 40mila persone, definite come immigrate nella zona, dovrebbero essere riportate nei loro luoghi di origine già entro la fine di quest’anno.

L’identificazione delle famiglie da spostare è già cominciata. Negli elenchi comparirebbero moltissimi gruppi familiari che hanno vissuto nella Nca per generazioni. «A causa della mancanza di documentazione, è impossibile per molti autoctoni provare che discendono dagli abitanti originari della Nca. Con il pretesto di questo piano, verranno rilocati abitanti indigeni» ha dichiarato Anuradha Mittal, direttore esecutivo dell’Oakland Institute, che ha anche curato il rapporto del 2018.

Altre 40mila persone, definite come “miserabili e poverissimi allevatori” saranno “interessate” a muoversi “volontariamente” in aree assegnate. Ma il documento governativo passa sotto silenzio il fatto che le miserevoli condizioni dei pastori maasai della regione sono dovute a precedenti provvedimenti che hanno limitato l’accesso alle risorse necessarie ad una sopravvivenza decente. Inoltre non definiscono dove gli abitanti saranno “volontariamente” ricollocati.

Nel rapporto presentato nei giorni scorsi si descrive nel dettaglio il programma governativo. Vi si dice che l’area protetta sarà ingrandita del 50%. Si estenderà per 12.083 km quadrati, invece degli 8.100 attuali, comprendendo anche le riserve di caccia del lago Natron e di Liolondo, quest’ultima già oggetto di un caso giudiziario presso il tribunale dell’Africa Orientale (East African Court of Justice).

La vastissima regione sarà divisa in 4 aree, con la creazione di zone di riserva in cui non sarà possibile nessuna presenza o attività umana. Sarà anche raccomandato in modo “convincente” l’abbandono di nove villaggi, nonostante gli abitanti si siano già espressi negativamente sulla questione.

Il rapporto chiarisce infine che il piano, che avrà un impatto devastante su decine di migliaia di vite umane, ha ben poco a che fare con la protezione della natura. In realtà si propone di aumentare il turismo, anche d’elite, che, negli ultimi anni, è letteralmente esploso nella zona. I visitatori, che erano circa 20mila nel 1979, sono stati più di 644mila nel 2018.

Il documento governativo lo dice esplicitamente: “Entro il 2038, il governo perderebbe il 50% delle previste entrate previste se fosse mantenuto lo status quo o se la Nca fosse lasciata ai pastori indigeni”.

Anuradha Mittal, concludendo la presentazione del rapporto dell’Oakland Institute, ha sottolineato che il governo della Tanzania e le agenzie ambientaliste non sono state in grado di dimostrare che limitare i diritti di pascolo e spostare la popolazione avrà un impatto positivo sull’ecosistema del parco del Ngorongoro.

Ha ricordato che i masaai sono stati per secoli i custodi della terra nella Grande Rift Valley dell’Est Africa dal momento che la loro vita, i loro mezzi di sussistenza e la loro identità culturale dipendono dall’ambiente che li circonda. Ha infine raccomandato la creazione di una commissione indipendente con la partecipazione delle comunità locali allo scopo di discutere su come migliorare le condizioni di vita ed economiche della popolazione locale, garantendo allo stesso tempo la protezione dell’ambiente e della fauna selvatica del parco.

Le popolazioni native da tempo segnalano che il piano delle agenzie conservazioniste di far diventare area protetta il 30% del pianeta entro il 2030 potrebbe configurarsi come “il più grande land grabbing della storia”, se non verranno tenuti in considerazione anche i loro diritti. Quanto sta avvenendo ora in Tanzania potrebbe essere uno dei tanti futuri episodi di espulsione delle popolazioni autoctone dalle loro terre tradizionali in nome di un modello conservazionista che andrebbe attentamente verificato, validificato e discusso.

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