Tanzania: il governo accanito contro i maasai - Nigrizia
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Continuano gli abusi sui popoli nativi per estendere le riserve naturali a scopo turistico, anche grazie ai finanziamenti della Banca Mondiale
Tanzania: il governo accanito contro i maasai
Nell'area di Ngorongoro il governo ha esteso gli sfratti a tutta l’area della riserva. Circa 100mila maasai dovranno lasciare le loro terre, 20mila entro la fine di marzo. Intanto nel parco Ruaha un progetto di ampliamento delle aree protette prevede il trasferimento forzato di altre migliaia di persone. All’ordine del giorno abusi e violenze per costringere le comunità ad andarsene
23 Febbraio 2024
Articolo di Bruna Sironi (da Nairobi)
Tempo di lettura 6 minuti
Pastore maasai del Serengeti (Credit: skeeze /pixabay/needpix/Public Domain)

L’Oakland Institute, centro studi americano che da tempo sostiene i maasai della Tanzania nella difesa dei propri diritti a risiedere nelle loro terre ancestrali, ha lanciato un nuovo allarme: Tanzanian Government on a Rampage Against Indigenous People (Il governo della Tanzania si sta accanendo contro i popoli indigeni).

Secondo l’istituto, il 2024 potrebbe essere un anno particolarmente difficile per loro. Fin dai primi giorni si sono verificati diversi abusi contro le comunità stanziate nei parchi e nelle riserve naturali o nelle loro vicinanze allo scopo di sfrattarle dalla loro terra, destinata ad essere inclusa nelle aree protette.

Il 14 gennaio i ranger della Tanzania National Park Authority (TANAPA), hanno  preso d’assalto un villaggio maasai nelle vicinanze del parco nazionale Tarangire, nel nord del paese, hanno sparato a diversi abitanti, ne hanno arrestati otto e hanno sequestrato 800 capi di bestiame.

L’anno scorso ne avevano già sequestrato 3mila e li avevano venduti all’asta, con un impatto economico grave su comunità già impoverite dai cambiamenti climatici e da politiche governative non “amichevoli”.

Il 18 gennaio il governo tanzaniano ha annunciato di avere cambiato lo status legale dell’area protetta del cratere del Ngorongoro (Ngorongoro Conservation Area). Perciò nella zona non sarebbero più permessi insediamenti e attività umane, come il pascolo del bestiame, che fino ad ora erano possibili in alcune fasce del territorio.

Questo provvedimento costringerebbe circa 100mila persone, la grande maggioranza pastori maasai, a lasciare le loro terre natie. Il programma prevede, tra l’altro, il trasferimento forzato di 20mila persone entro la fine di marzo.

La decisione fa seguito ad altre simili adottate negli anni scorsi che hanno destato la riprovazione non solo dei difensori dei diritti dei popoli indigeni, ma anche di numerosi esperti dell’ONU, mentre l’Unione Europea le ha condannate con una chiara risoluzione.

L’Oakland Institute, con una ricerca sul campo, Flawed Plans for Relocation of the Maasai from the Ngorongoro Conservation Area (Piani non adeguati per il trasferimento dei Maasai dall’area protetta del Ngorongoro), pubblicata nel maggio del 2022, ha anche dimostrato che le aree messe a disposizione per le comunità trasferite forzatamente non erano adeguate ai bisogni: terreno di pascolo assolutamente insufficiente, acqua scarsa, promesse di migliorare i servizi, gravemente insufficienti, vaghe e inconsistenti.

Ma soprattutto le comunità già residenti nelle zone individuate non sarebbero state consultate e non avrebbero dato il loro assenso all’insediamento dei nuovi residenti, circostanza che potrebbe portare a conflitti intercomunitari senza fine.

Banca Mondiale sotto accusa

I ranger della TANAPA hanno intensificato le azioni intimidatorie anche nelle zone adiacenti al parco nazionale di Ruaha (Ruaha National Park – RUNAPA) nella zona centrale del paese, uno dei quattro parchi per lo sviluppo dei quali la Banca Mondiale ha finanziato, con 150 milioni di dollari, il progetto “Gestione resiliente delle risorse naturali per il turismo e la crescita” (Resilient Natural Resource Management for Tourism and Growth – REGROW).

L’intervento prevede di svilupparli migliorandone la gestione, costruendo infrastrutture necessarie all’aumento dei flussi turistici e provvedendo agli abitanti dell’area diverse possibilità di formazione e lavori alternativi a quelli agropastorali tradizionali.

Al RUNAPA il progetto finanzia anche l’estensione della zona protetta, che passerà così da 1 milione a 2 milioni di ettari. Il progetto, approvato dalla Banca Mondiale nel dicembre del 2017, dovrebbe terminare entro la fine di febbraio del 2025.

Nell’ottobre del 2022 il governo tanzaniano ha comunicato a 5 villaggi (precisamente Luhanga, Madundasi, Msanga, Iyala, Kilambo) che si trovano nell’area interessata all’estensione del parco che la registrazione legale delle loro terre – previsto dalla legislazione del paese per proteggere le aree rurali dal land grabbing – era stata cancellata.

Il provvedimento interessa più di 21mila persone che hanno perso, per decreto governativo, il diritto alle terre dove le loro famiglie risiedevano da generazioni.

Nel decreto governativo si dice anche che la decisione era stata presa nel 2008, ma non era mai stata applicata. Sta di fatto che gli interessati non sarebbero mai stati interpellati e neppure informati. Per questo 852 persone hanno presentato una denuncia alla Corte Suprema chiedendo che gli sfratti siano fermati.

Lo dice il rapporto Unaccauntable & Complicit – The Worl Bank Finaces Evictions & Human Rights Abuses in Tanzania (Non responsabile e complice – La Banca Mondiale finanzia sfratti e violazioni dei diritti umani in Tanzania), pubblicato dall’Oakland Institute alla fine di settembre dell’anno scorso.

Vi si legge anche che, dall’inizio delle attività nel 2017, i ranger della TANAPA – dunque dipendenti da un ente governativo e pagati con i fondi del progetto finanziato dalla Banca Mondiale – si sono macchiati di veri e propri crimini.

I ricercatori hanno raccolto numerose testimonianze di omicidi, sparizioni, violenze sessuali, aggressioni e sequestri di bestiame allo scopo di “convincere” gli abitanti dei villaggi a spostarsi. Il tutto in violazione delle garanzie per il rispetto dei diritti della popolazione, esplicitati nel documento di progetto, e nell’indifferenza del donatore.

Dopo la pubblicazione del rapporto, la Banca Mondiale ha finalmente preso seriamente in considerazione quanto stava avvenendo nella zona del parco nazionale di Ruaha e ha chiesto al governo della Tanzania di comporre nell’arco di un mese i contenziosi aperti con le comunità, ed esplicitati da due persone che hanno chiesto l’anonimato per timore di ritorsioni.

Ma la richiesta non deve essere stata soddisfatta perché pochi giorni fa il dipartimento competente, il Bank’s Accountability Mechanism, ha fatto sapere di aver aperto una priopria inchiesta che dovrebbe concludersi entro giugno di quest’anno.

È dunque probabile che, almeno per quanto riguarda il progetto finanziato dalla Banca Mondiale, il governo tanzaniano debba rispondere delle politiche “atroci” nei confronti delle popolazioni native e delle comunità rurali risiedenti nelle aree univocamente destinate ad essere protette.

Ma sarebbe necessaria una pressione internazionale perché vengano fermati tutti gli abusi e le violazioni dei diritti delle popolazioni native e delle comunità rurali stanziate nelle aree destinate a diventare parchi nazionali.

L’aumento del Pil del paese grazie alle entrate previste per lo sviluppo del turismo non può avvenire a scapito delle popolazioni più emarginate che un “buon governo” dovrebbe, invece, sostenere con politiche adeguate, rispettose della loro cultura e dei loro bisogni.   

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