Banche europee legate alla violenza in Sud Sudan - Nigrizia
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Global Witness: una decina di istituti finanziano aziende petrolifere complici di abusi sulla popolazione
Banche europee legate alla violenza in Sud Sudan
Deutsche Bank, Crédit Agricole e Intesa Sanpaolo, insieme ad altre banche, sostengono con oltre 700 milioni di euro Petronas e CNPC che insieme detengono la maggioranza della joint venture che produce il 75% del petrolio del paese
24 Novembre 2023
Articolo di Redazione
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In Sud Sudan grossi gruppi bancari europei continuano da un decennio a investire in società coinvolte nell’estrazione petrolifera, contribuendo così ad alimentare conflitti e violenza contro i civili.

A sostenerlo è un dettagliato rapporto pubblicato il 14 novembre dal think thank Global Witness (GW) nel quale si fa notare come queste attività possano equivalere a complicità in crimini di guerra.

A partire dallo scoppio della guerra civile nel 2013, ricorda il report, la popolazione sudsudanese subisce “orribili violenze”. Abusi che si sono solo parzialmente ridotti con la firma della pace nel 2018, in quanto le forze governative, le milizie alleate e i servizi di sicurezza continuano ancora oggi a perpetrare violenze contro la popolazione.

Violenze denunciate, tra l’altro, dalle indagini della Commissione per i diritti umani in Sud Sudan che ha chiesto, finora senza risultati, che i responsabili siano indagati per crimini contro l’umanità e crimini di guerra.

L’organismo delle Nazioni Unite – così come denunciano da diversi anni autorevoli studi – afferma che le aziende che operano nel settore petrolifero sono complici di questi crimini, in quanto legate da partnership alle forze governative.

Aziende che sono finanziate da banche europee, tedesche, francesi e italiane in particolare.

Il rapporto di Global Witness punta il dito su una decina di istituti – tra cui Deutsche Bank, Allianz, Crédit Agricole e Intesa Sanpaolo – che sostengono (con oltre 700 milioni di euro in obbligazioni e azioni) due di queste società: la malese Petronas e la Chinese National Petroleum Company (CNPC) che insieme possiedono la maggioranza della joint venture che produce il 75% del petrolio del paese.

Diversi creditori europei hanno inoltre continuato a fornire prestiti e servizi di sottoscrizione alle due società, per un valore totale di oltre 4 miliardi di euro in meno di sette anni.

Il grafico seguente, anche questo estratto dal rapporto di Global Witness, presenta la ripartizione dei creditori europei nelle due società tra gennaio 2016 e settembre 2022.

Per le Nazioni Unite le società petrolifere “come conseguenza delle loro attività commerciali, hanno causato o contribuito al conflitto armato e alle violazioni contro i civili nelle loro aree operative”.

Eppure, si legge nel rapporto di GW, “le banche e gli investitori europei stanno ancora investendo milioni nelle due società internazionali che detengono la quota maggiore nel settore petrolifero del Sud Sudan, e hanno continuato a concedere loro prestiti da quando è scoppiato il conflitto”.

Investimenti che creano enormi profitti alle banche, alimentando violenza, corruzione e cleptocrazia. E che generano entrate per il governo a Juba.

L’84% del budget statale deriva dai proventi petroliferi, fa notare GW, e la maggior parte del bilancio è destinato ai servizi militari e di sicurezza. Ovvero ai responsabili delle violenze.

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