C’è un despota a Tunisi. L’Italia lo sostiene - Nigrizia
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L'editoriale di aprile 2023
C’è un despota a Tunisi. L’Italia lo sostiene
28 Marzo 2023
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 3 minuti
Il presidente Kais Saied con il ministro degli esteri Antonio Tajani

Questo articolo è pubblicato come editoriale uscito sulla rivista Nigrizia di aprile 2023

È scattato l’allarme rosso. «La situazione in Tunisia è molto pericolosa. Se il paese crolla, rischia di causare esodi migratori verso l’Unione europea», lo spettro agitato da Josep Borrell, il capo della diplomazia di Bruxelles, dopo una riunione dei ministri degli esteri Ue.

Il paese maghrebino, infatti, vive un violento impoverimento, con le casse statali vuote. Il rischio default è un’ipotesi per nulla remota. Il Fondo monetario internazionale ha in naftalina un finanziamento di 1,9 miliardi di dollari.

Ma Tunisi dovrebbe accettare una politica di austerity e di riforme economiche sanguinose, che rischiano di incendiare ancora di più il malessere popolare. Per cui il governo tergiversa. Ma Borrell è stato chiaro: «L’Unione europea non può aiutare un paese che non riesce a firmare un accordo con il Fondo monetario».

Una presa di posizione che inquieta l’Italia, pronta a un sostegno incondizionato al vicino della sponda sud del Mediterraneo. Il timore, infatti, è che il suo tracollo possa aumentare l’arrivo di migranti sulle coste italiane. Già ora la rotta tunisina è diventata la principale rispetto a quella libica.

E quindi? Che fare? Roma ripropone la solita ricetta “magica”. Quella naufragata in mille esperienze precedenti: finanziare l’autocrate di turno nella speranza che contenga le partenze. È già successo con Gheddafi. Succede con Erdogan. Ora si tenta con Kais Saied.

Il presidente tunisino è un panarabista conservatore che in 3 anni e mezzo di iperpresidenzialismo ha liquidato governi, parlamento, partiti politici, Costituzione e magistratura. Uno talmente goloso di potere da aver sfibrato a tal punto la democrazia che alle ultime elezioni parlamentari si è presentato appena l’11% degli aventi diritto al voto.

Non solo, ha avviato e portato a buon punto la repressione del dissenso, ma ha indirettamente lanciato una brutale campagna xenofoba contro gli africani subsahariani. Campagna così violenta da aver scatenato la caccia ai migranti e costretto paesi di provenienza, come Costa d’Avorio e Guinea, al rimpatrio d’urgenza dei propri cittadini.

E chi non è tornato in patria si è imbarcato per raggiungere l’Italia. Costa d’Avorio e Guinea sono infatti i due principali paesi di provenienza dei migranti e dei richiedenti asilo arrivati via mare sulle nostre coste nel 2023. Saied come “push factor” delle migrazioni. Un paradosso.

E noi lo abbiamo pure finanziato in questi anni. Dal 2011 a oggi, Roma ha speso 47 milioni di euro, 15 negli ultimi due anni, per rafforzare la guardia costiera tunisina. Pochissimo è stato fatto, invece, per spingere Tunisi a ripensare come colmare le lacune del suo sistema di accoglienza, dove la legge sull’asilo è rimasta solo un’ipotesi.

Quando Roma, Bruxelles accendono i fari sul tema delle migrazioni, vedono all’orizzonte solo politiche securitarie e contenitive. Mai una riflessione sui contesti autoritari e repressivi che caratterizzano i paesi di transito o di partenza.

Politiche che, alla fine, rafforzano solo i Gheddafi di turno.


Brutale campagna xenofoba

Il 21 febbraio Saied ha pronunciato un discorso nel quale ha abbracciato la teoria della grande sostituzione. A suo avviso «orde illegali di migranti dell’Africa subsahariana rischiano di cambiare la composizione demografica della Tunisia per farlo un altro stato africano, escludendolo dal mondo arabo e islamico»

 

 

 

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