Crisi climatica, la AfDB non convince gli attivisti
Ambiente COP28 Senegal Tanzania
L'istituto sta lanciando un piano da un miliardo di dollari per proteggere il settore agricolo. Diverse le incognite
Crisi climatica, la Banca africana di sviluppo non convince gli attivisti
Justine, Federazione dei piccoli coltivatori dell'Africa orientale e australe: «Serve più trasparenza sulla distribuzione dei fondi»
11 Gennaio 2024
Articolo di Brando Ricci
Tempo di lettura 5 minuti

La Banca africana di sviluppo (AfDB) si sta dotando di uno strumento che promette di sostenere, con un iniziale prospettiva di un miliardo di dollari, l’adattamento alla crisi climatica, la resilienza e lo sviluppo sostenibile del settore agricolo del continente. Molte però le incertezze agli occhi della società civile, sia per quanto riguarda la trasparenza e l’accessibilità ai fondi delle comunità sia per quanto concerne il rischio che questa piattaforma rafforzi lo status quo sulla crisi climatica, miope e segnato da un approccio emergenziale. 

L’iniziativa creata dall’AfDB è stata denominata Africa Climate Risk Insurance Facility for Adaptation (ACRIFA) ed è stata annunciata nel corso dell’Africa Climate Summit che si è svolto a settembre a Nairobi. Lo strumento è stato presentato agli inizi di dicembre nell’ambito della COP28, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2023 che si è svolta a Dubai.

Durante il summit diversi paesi ad alto reddito hanno annunciato centinaia di milioni di euro a sostegno di un fondo per il Loss & Damage, i danni e le perdite irreparabili provocate dagli stessi eventi climatici estremi su cui agisce l’ACRIFA. A detta di diversi analisti concordanti, i soldi impegnati rappresentano comunque una frazione minima delle centinaia di miliardi di dollari che servirebbero.

Tornando all’ACRIFA, l’AfDB è entrata ora nella fase di individuazione dei beneficiari del piano, fra i quali dovrebbero figurare, secondo il presidente della banca africana Akinwumi Adesina, almeno 40 milioni di coltivatori del continente. L’istituto di sviluppo, con sede ad Abidjan , sta raccogliendo i dati anche con il sostengo di agenzia delle Nazioni Unite come il Programma alimentare mondiale (Pam).

Il contenuto dell’ACRIFA

In sintesi l’ACRIFA mira a rafforzare la capacità del sistema assicurativo africano di proteggere governi, attori privati e comunità di agricoltori dagli shock provocati dalla crisi climatica e dagli eventi estremi che comporta. Nel solo 2022, questi fenomeni hanno messo a rischio la vita di 110 milioni di cittadini africani, con un costo complessivo stimato di 8,5 miliardi di dollari. L’obiettivo dello strumento è anche quello di ridurre i rischi economici che presenta il settore agricolo, così da convogliare nuovi investimenti privati per lo sviluppo sostenibile del comparto.

Adesina ha affermato che l’AfDB punta a mobilitare inizialmente un miliardo di dollari, da concedere ai beneficiari tramite capitale agevolato ad alto rischio e sovvenzioni per l’assistenza tecnica. È utile ricordare che la banca è un organismo multilaterale di sviluppo fondato dall’Organizzazione dell’unione africana, predecessore dell’attuale Unione Africana, nel 1964. Le risorse dell’istituto provengono dai contributi dei suoi 81 paesi membri, che per un terzo non sono africani.

Nella visione della banca, l’ACRIFA è necessario soprattutto alla luce di due constatazioni: ogni anno i produttori agricoli piccoli e medi del continente non riescono ad accedere a 100 miliardi di fondi di cui avrebbero bisogno, mentre il 97% di questi attori del settore non è protetto da un’assicurazione. Le realtà più piccole della catena sono uno dei destinatari dei fondi, che si articolerà su tre livelli: uno macro – i governi dei paesi – uno medio – le aziende – e uno infine micro, appunto i contadini e i piccoli produttori.

I dubbi dei piccoli coltivatori

Segnali incoraggianti certo, ma che non convincono completamente Emmanuel Justine, rappresentante dell’ESAFF, il Forum dei piccoli coltivatori dell’Africa orientale e australe, organizzazione che opera in 16 paesi del continente. «Consideriamo l’ACRIFA una buona iniziativa nella misura in cui colma il gap di finanziamento per i rischi della crisi climatica e propone soluzione che possono aiutare la comunità più vulnerabili», premette a Nigrizia Justine, di base in Tanzania. «Vorremmo però- aggiunge- che venisse data priorità ai piccoli produttori, che sono citati fra i target ma in competizione con realtà più grandi».

Altri nodi critici sono rappresentati dalla possibile mancanza di trasparenza e dall’efficacia delle modalità di finanziamento. «Un approccio dall’alto, come quello attuale – spiega l’attivista- rischia di diminuire l’impatto dell’iniziativa. Vorremmo si passasse a un’impostazione più a guida comunitaria, che consideri meglio le necessità degli attori più piccoli». Justine prosegue: «È necessario inoltre che ci sia la massima trasparenza rispetto alla distribuzione dei fondi, che a oggi non è chiara. Davvero i coltivatori ne beneficeranno? E le banche  private che ruolo avranno?».

Approccio sbagliato

Adotta un punto di vista critico, ancora più deciso, l’attivista ed esperto togolese Adessou Kossivi, rappresentante per l’Africa di una rete di oltre 1.880 organizzazioni delle società civile provenienti da 130 paesi, la Global Network of Civil Society Organisations for Disaster Reduction (GNDR). «L’ACRIFA- dice il dirigente a Nigrizia– potrebbe essere anche uno strumento efficace, visto che può in parte sopperire alla mancanza di fondi di cui soffrono le politiche di mitigazione degli effetti della crisi climatica».

Il punto però, per l’attivista, che è di base in Senegal, è che «il comparto assicurativo così come è concepito adesso non può rispondere seriamente all’impatto della crisi ambientale. Questa si può combattere solo andando alla radice del problema e comprendendo veramente il grado di esposizione delle comunità locali ai suoi effetti. In definitiva- scandisce Kossivi- le assicurazioni non combattono il fenomeno ma anzi, creando debito, come nel caso dell’ACRIFA», cui parte dei fondi sono appunto a debito, «rafforza un sistema di dominazione che è la forza del sistema economico capitalista dominante».

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