In Africa 106 milioni di persone senza cibo - Nigrizia
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Le situazioni più gravi in Etiopia, Sud Sudan e Madagascar
In Africa 106 milioni di persone senza cibo
Raddoppiato negli ultimi tre anni il numero di persone che nel settore subsahariano del continente soffre di insicurezza alimentare acuta. Le prime cause sono i conflitti e gli effetti dei cambiamenti climatici. In 23 paesi c’è bisogno di interventi immediati ma i fondi delle agenzie internazionali scarseggiano
19 Ottobre 2021
Articolo di Antonella Sinopoli
Tempo di lettura 6 minuti
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(Credit: Unicef Kenya/2017/Oloo)

Fame acuta, o anche acuta insicurezza alimentare, come la definiscono con un termine meno diretto le agenzie internazionali. Ne stanno soffrendo almeno 106 milioni di africani, un numero che risulta raddoppiato dal 2018 ad oggi.

Conflitti, con la relativa insicurezza che ne deriva per gli Stati e per le popolazioni, instabilità politica, migrazioni forzate, shock economico dovuto al Covid-19, effetti delle migrazioni climatiche: sono questi i motivi che stanno provocando una situazione di emergenza almeno per 15 paesi africani. Anche se si parla di 23 paesi in cui c’è bisogno di interventi immediati con aiuti alimentari. Tutti sono nell’Africa subsahariana.

Le situazioni più tragiche – secondo quanto emerge dal nuovo rapporto della Fao e del Programma alimentare mondiale – in Etiopia, Sud Sudan e Madagascar dove ad affrontare una vera e propria carestia sono rispettivamente oltre 400mila, 100mila e 28mila persone. Esseri umani che non hanno altro da sperare che ricevere gli aiuti da ong sul campo o dai preposti organismi dell’Onu.

Per far capire meglio la situazione spieghiamo che gli analisti indicano tecnicamente le condizioni di bisogno delle popolazioni – in momenti di emergenza – in fasi che vanno da 1 a 5. La maggior parte dei paesi considerati dal report si trovano già nella fase 5 definita con due parole: catastrofe e carestia. In questi luoghi e tra queste popolazioni l’intervento è indispensabile, anzi urgente.

Il primo motivo a generare la crisi alimentare –  e che è comune alla maggior parte dei territori in cui questa è evidente – è uno stato di conflitto che a volte va avanti da decenni. Dei 15 paesi con il livello di emergenza più alto, sono 12 quelli dove sono in atto conflitti di media o alta entità. E ad essere maggiormente colpiti – in termini di aree geografiche – sono paesi dell’Africa orientale e centrale.

Mappa estratta dal dal rapporto della Fao “Hunger Hotspots”. Elaborazione grafica africacenter.org

La mappa delle zone nere vede in evidenza la Repubblica democratica del Congo (RdC). Su 89.98 milioni di abitanti, 26,2 milioni stanno affrontando le conseguenze dell’insicurezza alimentare, vale a dire che circa il 27% della popolazione soffre la fame. Alla base di questo, dicevamo, i conflitti in corso nelle regioni orientali e nordorientali del paese.

La RdC, che come afferma questo documento, “sta vivendo una delle peggiori crisi umanitarie al mondo”, conta oltre 5 milioni di sfollati, compresi 3 milioni di bambini. “La maggior parte di loro – si legge nel report – si è rifugiata nelle comunità locali che riescono appena a soddisfare i propri bisogni. Altri vivono in campi informali dove le condizioni di vita sono ancora più dure”.

Secondo l’analisi dell’Ipc (Integrated Food Security Phase Classification) la malnutrizione acuta colpirà – e sta già interessando – migliaia di bambini al di sotto dei cinque anni e donne in gravidanza o in allattamento. Una precaria situazione nutrizionale che è il risultato di pratiche alimentari inadeguate, insicurezza alimentare acuta, elevata prevalenza di malattie infantili (malaria e diarrea) ed epidemie di morbillo e colera. Ma anche di cattive condizioni igieniche (inaccessibilità a strutture sanitarie adeguate), scarso accesso all’acqua potabile e delle conseguenze della situazione della sicurezza tra cui, appunto, un massiccio spostamento della popolazione.

Dopo la RdC è l’Etiopia, con 16.8 milioni di persone che si trovano nella fase di “acuta insicurezza alimentare”, a preoccupare le agenzie estere. Va considerato anche che ormai il conflitto nel Tigray va avanti da un anno e cronache e analisi sono ormai molto chiare nel definire la negazione del cibo – anche ostacolando l’arrivo di aiuti umanitari della regione del nord del paese – come tattica o arma di guerra.

Anche la Nigeria rimane uno degli stati dove l’insicurezza e le continue incursioni di Boko Haram con la sua propaggine dello Stato islamico della provincia dell’Africa occidentale (Iswap) che si riverberano anche in stati confinanti, produce il suo effetto su migrazioni (meglio dire fughe) di massa, sulle produzioni agricole (i campi vengono abbandonati) e, dunque, sulla disponibilità di derrate alimentari.

In Nigeria sono 12.8 milioni le persone che hanno bisogno di cibo. A questo si aggiunge la scarsità di fondi dichiarata dall’Onu. Sono necessari almeno 55 milioni di dollari per arrivare a milioni di persone colpite dalla crisi nel nord-est del paese. Se non arriveranno si sarà costretti a dimezzare le razioni, e poi – come spesso accade – la gente comincerà a muoversi in cerca di fortuna.

Movimenti di massa che interessano anche altre popolazioni di stati che non riescono ad assicurare loro sicurezza e beni primari di sussistenza oppure alle prese con gravi effetti della crisi climatica: Sud Sudan e Sudan, Somalia, con la sua permanente crisi politica, il Camerun, con un conflitto in corso da cinque anni tra i separatisti anglofoni e il governo a maggioranza francofona, il Mozambico, con la sua emergenza – ancora in corso – a Cabo Delgado.

E poi ci sono paesi dove non sono in atto veri e propri conflitti, come il Kenya, il Niger, il Burkina Faso (per quest’ultimo bisogna considerare però la presenza di Boko Haram) ma che hanno esperienza di lunghi contrasti tra pastori e agricoltori. Contrasti esacerbati dal cambiamento climatico che alterna sempre più spesso periodi di siccità estrema ad alluvioni vere e proprie.

E a proposito di eventi climatici, sono questi tra le principali cause – dopo i conflitti – dell’emergenza alimentare. In Madagascar, per esempio, dove da mesi il sud del paese sta vivendo la più grave siccità mai vista da quarant’anni a questa parte. Si stima che circa 1,3 milioni di persone soffrano di insicurezza alimentare acuta – erano 1 milione solo qualche mese fa – di cui quasi 28mila a rischio carestia. Tre anni consecutivi di gravi siccità (e di immobilismo delle autorità) hanno esaurito i raccolti e le riserve, riducendo l’accesso al cibo nella regione del Grand South.

In Angola – anche qui la “peggiore siccità degli ultimi 40 anni” – scarseggiano i raccolti nelle principali province agricole e i prezzi del cibo sono aumentati vertiginosamente, determinando livelli di insicurezza alimentare acuta più alti del normale, in particolare nel sud del paese. Una situazione peggiorata un po’ dappertutto, dicevamo, anche a seguito della pandemia.

Per uscire da questa situazione ci vorrà tempo, magari tornando alla pace e garantendo la sicurezza dei cittadini. Intanto, c’è chi nonostante tutto, diffonde segnali di ottimismo. È l’ultimo rapporto della Banca mondiale che parla, cautamente, di una lenta ripresa. Una ripresa che avrà davvero valore se a vederne i risultati saranno quelle che oggi sono le popolazioni più afflitte.

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