Marocco alla presidenza del Consiglio dei diritti umani dell'Onu
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L’incarico spettava a un paese africano
Marocco alla presidenza del Consiglio dei diritti umani dell’ONU per il 2024
È la prima volta che capita nella storia del paese nordafricano. Algeria e Sudafrica, per ragioni legate al conflitto nel Sahara Occidentale, hanno contestato la nomina. In effetti, sono molte le violazioni dei diritti accertate nel regno
11 Gennaio 2024
Articolo di Redazione
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Il Marocco per la prima volta nella la sua storia ottiene la presidenza del Consiglio dei Diritti umani dell’ONU per il 2024. Una vittoria non facile, salutata dal paese come una medaglia guadagnata sul terreno di scontro sul Sahara Occidentale. Il Marocco era infatti osteggiato da Sudafrica e Algeria, alleati del Fronte Polisario.

La poltrona di presidente era destinata a un paese africano, ma all’interno del gruppo la discussione si è esacerbata al punto da dover ricorrere ai voti. Le votazioni si sono svolte a scrutinio segreto. Omar Zniber, rappresentante diplomatico di Rabat presso le istituzioni ONU di Ginevra, ha ottenuto la fiducia di 30 dei 47 paesi del Consiglio; l’ambasciatore sudafricano invece ha avuto 17 voti.

Gli autoelogi

Il ministro degli esteri Nasser Bourita, che ha diffuso la notizia, ha salutato l’elezione come «un riconoscimento da parte della comunità internazionale» del lavoro del re Mohamed VI «in materia di protezione e promozione dei diritti umani», come stabilito dalla Costituzione del 2011. A seguito del referendum del 1° luglio 2011, infatti, il paese nordafricano ha adottato una nuova Carta fondamentale che sancisce «i diritti umani universalmente riconosciuti e ne prevede la tutela, tenendo conto della loro universalità e indivisibilità».

Bourita non ha mancato di sottolineare l’ostracismo di Algeria e Sudafrica. Il comunicato del ministero degli esteri si conclude con la garanzia che il Marocco «resterà fedele alla linea mantenuta durante i suoi tre mandati in seno al Consiglio dei Diritti umani, privilegiando sempre il dialogo, l’incontro e il consenso».

Le contraddizioni

Detto delle dichiarazioni ufficiali, ovviamente elogiative e dal forte accento retorico, resta di fondo una profonda contraddizione rispetto a ciò che accade in quel paese come tutela dei diritti umani. Non ci sono state manifestazioni di giubilo nel Sahara Occidentale, in conflitto endemico con Rabat. E neppure ad Algeri, avversario storico del Marocco. Ma Rabat è considerato, come ci ricorda il Manifesto, «il miglior gendarme d’Europa in quanto a controllo e repressione dei flussi migratori».

Amnesty International, nell’aprile del 2023, dichiarava che «gravi violazioni dei diritti umani continuano senza sosta in Algeria e Marocco, dove molte leggi sono ben al di sotto degli standard internazionali».

Lo stesso organismo dell’ONU che si occupa dei diritti umani (OHCR) ha scritto, nel 2021 che Rabat «deve smettere di prendere di mira i difensori dei diritti umani e i giornalisti e consentire loro di lavorare senza ritorsioni». E nel 2018 il sito francese Franceinfo ricordava come le violazioni dei diritti umani «avevano raggiunto un livello mai visto dal 1990».

Ci sono poi stati casi di conflittualità anche con i media: sono stati arrestati (e poi espulsi) due giornalisti francesi, accusati di aver violato «le norme relative alla cronaca stampa». Del resto, criticare la legittimità della regalità è un tabù. Il dibattito sull’islam politico è fortemente limitato ed è illegale mettere in discussione «l’integrità territoriale» del Marocco.

Bandito TikTok?

Un caso apparentemente minore potrebbe in realtà minore potrebbe tuttavia nascondere risvolti non del tutto rassicuranti. Arriva in questi giorni in parlamento la proposta di vietare TikTok, l’applicazione cinese che in Marocco va per la maggiore con numerosi milioni di iscritti. I partiti della maggioranza, che ne sostengono la messa al bando, la ritengono «distruttrice e nefasta» e ritengono che «trasmetta attraverso video e storie, valori contrari a quelli del paese».

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