Migrare è una necessità, accogliere è un dovere - Nigrizia
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Giornata mondiale del migrante e del rifugiato
Migrare è una necessità, accogliere è un dovere
Non solo guerre. Sempre più persone sono costrette a lasciare le loro terre per altre cause, tra cui disastri naturali e mancanza di sostentamenti vitali. E peggiorano anche le condizioni delle rotte migratorie verso l’Europa
25 Settembre 2022
Articolo di Arianna Baldi
Tempo di lettura 4 minuti
Migranti afghani fuori da un outreach a Potok, Šturlić, Bosnia Erzegovina. (Credit: Arianna Baldi)

Il 25 settembre ricorre la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato. Una distinzione importante, se si pensa all’attuale dibattito politico italiano sul tema, con l’auspicata esclusione dei cosiddetti migranti economici dai circuiti di accoglienza, definiti ripetutamente dai partiti di destra come “illegali” e “profughi finti”, a differenza di quelli che scappano dalle guerre.

Ma quanti sono, in Italia? Secondo i dati dell’Istituto superiore di sanità, i cittadini stranieri residenti in Italia sono circa 5 milioni. Di questi, la metà è composta da cittadini extraeuropei. Ma nel 2021, i residenti in Italia con lo status di rifugiato erano appena 144.862 (più 51.779 richieste d’asilo in corso), ovvero approssimativamente il 3%. Eppure, a tutti gli altri è stato comunque riconosciuto un qualche tipo di documento. Perché? Perché non esistono solo le guerre, o per lo meno non solo quelle tradizionalmente intese.

Questa distinzione insistita tra migrante e rifugiato sarebbe forse più valida se posta al contrario. È un “profugo vero” chi scappa da una mancata condizione di pace. E pace non è semplicemente la negazione della guerra: è vivere in un luogo in cui ci si sente rispettati e al sicuro, in grado di condurre una vita dignitosa. E quanti sono, nel mondo, i luoghi che ad oggi non rispettano nemmeno lontanamente questi requisiti?

Si pensi alle zone dell’Africa dove la piaga del terrorismo devasta intere regioni. Dove la caccia selvaggia alle risorse minerarie ed energetiche crea condizioni di vita disumane e un’instabilità costante.

Per non parlare di tutte quelle parti del mondo che oggi stanno diventando invivibili a causa dei cambiamenti climatici – e finalmente, qualche settimana fa, in Italia è stato riconosciuto il primo rifugiato per motivi climatici, un importante passo avanti destinato a modificare questo dibattito -.

Il mondo ha incredibilmente accelerato la sua fisiologica, incessante trasformazione: cambiano gli equilibri, ma si continua a fuggire, perché per quanto si possa fare leva sulla retorica dell’“aiutiamoli a casa loro”, “a casa loro”, in molti casi, si sta peggio. E, come denunciano sempre più organizzazioni, peggiorano anche le condizioni delle rotte migratorie.

Per esempio, sono sempre di più gli africani che scelgono la rotta balcanica per raggiungere l’Europa. Vengono dal Burundi, dal Camerun, dalla Guinea, ma anche dal Nordafrica. Il desiderio è quello di evitare i lager libici. Ma per farlo, si ritrovano a percorrere una strada estremamente pericolosa, da anni teatro violenze terribili e soprattutto gratuite.

Lungo questa via, fatta di montagne, di fango e di inverni rigidi, i migranti sono soli, costretti a vivere nella totale clandestinità o in campi profughi che hanno tutto l’aspetto di una prigione con tanto di filo spinato intorno, come il campo di Lipa, a Bìhac, in Bosnia Erzegovina, un paese dove, tra l’altro, ogni forma di assistenza materiale ai migranti fuori dai campi è considerata reato e per loro è persino illegale comprare del cibo nei supermercati.

Purtroppo, non solo il Mediterraneo è ormai un cimitero a cielo aperto. Anche i monti balcanici, soprattutto quelli al confine tra la Bosnia e la Croazia, custodiscono i corpi di chi non ce l’ha fatta, corpi che a volte vengono sepolti nel cimitero musulmano di Bihac con la sola dicitura “senza nome”.

Eppure un nome lo avevano. È stata l’Europa a toglierglielo. E così come per i morti nel Mediterraneo, è impossibile quantificare quante siano effettivamente le persone che partono senza mai arrivare. Per la rotta via terra è ancora più difficile reperire dati sicuri: per esempio, nel 2021, i nuovi ingressi registrati a Trieste sono stati 4.829.

È tuttavia un numero parziale, che tiene conto solo di chi si è fermato. Impossibile sapere quanti siano transitati per il confine, o quanti siano, per esempio, i minori non accompagnati di cui si perdono le tracce.

«Questa estate – racconta a Nigrizia un’operatrice della Comunità di Sant’Egidio, impegnata da ormai due anni in missioni umanitarie in Bosnia al fianco del Jesuit Refugee Service (JRS) – abbiamo incontrato due ragazzini afghani di 12 e 15 anni. Viaggiavano completamente soli. Ci hanno chiesto una lanterna, perché di notte, nella casa abbandonata in mezzo ai boschi in cui si riparano, hanno paura del buio».

E come loro, quanti migranti ancora oggi hanno paura della totale oscurità causata dal mancato rispetto dei loro diritti?

Recita l’articolo 13 della Dichiarazione universale dei diritti umani:
1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni stato. 
2. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese.

 

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