Mozambico: debito nascosto, un processo monco - Nigrizia
Mozambico Politica e Società
Concluso il dibattimento sul più grande scandalo finanziario dell’Africa
Mozambico: debito nascosto, un processo monco
Alla sbarra mediatori, faccendieri e alti funzionari pubblici. Ma nessun politico. Il presidente Filipe Nyusi, uno dei protagonisti principali della vicenda, non è stato nemmeno ascoltato come testimone
22 Febbraio 2022
Articolo di Luca Bussotti
Tempo di lettura 5 minuti
L'ex presidente Armando Guebusa con il figlio nella tensostruttura che ospita il processo nel recinto del penitenziario “BO” di Maputo (Credit: MzNews)

È durato circa sei mesi il processo svoltosi a Maputo contro 19 accusati, coinvolti nel maggiore scandalo finanziario della storia dell’Africa. Si è trattato di un buco di 2,2 miliardi di dollari dal bilancio dello stato mozambicano, che a suo tempo (verso la fine dell’ultimo mandato del presidente Armando Guebuza, 2013-2014, ma scoperto nel 2016) aveva autorizzato la copertura di investimenti nell’area della difesa attraverso società controllate dai servizi segreti locali (Sise).

Tali società erano la Ematum, la Mam e la ProIndicus, tutte, alla fine, assolutamente inefficienti e che mai hanno prodotto gli utili necessari per ripagare i debiti accesi con banche internazionali come Credit Suisse e la russa Vtb, le quali avevano emesso obbligazioni comprate anche negli Stati Uniti e nel Regno Unito.

In realtà, la complessa operazione – giustificata con la presenza di pirati nella costa mozambicana, oltre ad altri pericoli incipienti, come il terrorismo a Cabo Delgado – è stata pensata sin dall’inizio come un grande schema di corruzione, da parte della società Privinvest Shipbuilding, fondata dal franco-libanese Iskandar Safa e che ha visto, per il caso mozambicano, l’attiva partecipazione del libanese Jean Boustani, mediatore e vero mentore del progetto.

Secondo quanto emerso dai processi paralleli in corso a New York e a Londra, Boustani avrebbe stretto amicizia con faccendieri locali, fra il primogenito dell’ex-presidente Guebuza (Armando Ndambi Guebuza, attualmente sotto processo e detenuto), distribuendo tangenti a destra e a manca, e coinvolgendo essenzialmente gli alti funzionari del Sise, fra cui l’ex-direttore Gregório Leão, la sua seconda moglie Ângela Leão (proprietaria di varie imprese private che avrebbero avuto il ruolo di lavare i soldi ricevuti) e António Carlos do Rosário, responsabile economico dei servizi di intelligence locali e vero king-maker dell’operazione dal lato mozambicano.

Uomini e donne, tutti fedeli a Guebuza, che con lui hanno avuto la possibilità di garantirsi carriere luminose e laute prebende e che adesso, dopo sei mesi di udienze trasmesse da tutte le principali televisioni mozambicane, attendono la sentenza.

Questo, appunto, è il nodo centrale: gli accusati del processo sono mediatori, faccendieri e alti funzionari pubblici. Ma di politici neanche l’ombra. Ci ha pensato l’ex-presidente Guebuza a ricordare che furono proprio i responsabili istituzionali a decidere l’operazione. Lo statista, la scorsa settimana, ha infatti voluto effettuare la sua deposizione in tribunale, nonostante che il suo statuto di ex-presidente e membro del Consiglio di stato gli permettesse di presentare una memoria scritta, o di deporre a porte chiuse.

Invece no, Guebuza ha inteso entrare a gamba tesa nel “teatro della BO” (così ormai definita l’aula del tribunale del carcere di Maputo dove si celebra il più eclatante processo della storia del paese) per chiarire un concetto: assumersi lui la responsabilità politica dell’operazione, rivendicando l’importanza della difesa della costa e di tutto il paese, ma rimandando al responsabile del Comando operativo (l’allora ministro della difesa, oggi presidente della repubblica, Filipe Nyusi) ogni addebito quanto ai dettagli economici e finanziari, quelli, cioè, che potrebbero avere rilevanza penale.

Un atteggiamento che era atteso dai più, ma che – ascoltato in diretta – ha avuto un effetto destabilizzante sul partito che da sempre governa il Mozambico, il Frelimo, a cui sia Guebuza che Nyusi appartengono.

La risposta giudiziaria è stata anch’essa scontata: il giudice, Efigénio Baptista, ha negato per l’ennesima volta, anche di fronte alle dichiarazioni di Guebuza, la possibilità che Nyusi vada a deporre in aula, dichiarando conclusa la fase delle deposizioni. Un processo, quindi, “monco”, orfano di uno dei protagonisti principali della vicenda e che, almeno come teste, in molti osservatori auspicavano che fosse udito.

La reazione dei mezzi di informazione locali privati non si è fatta attendere (quelli pubblici non hanno l’autonomia necessaria dal partito-stato per presentare alcuna lettura critica): la dipendenza del potere giudiziario da quello politico continua inalterata, soggiogata da un meccanismo in cui la nomina presidenziale dei principali giudici rappresenta la massima garanzia affinché questi mai agiscano in senso contrario ai desiderata del governo. C’è quindi da attendersi qualche condanna agli imputati, ma nessuno strascico ulteriore, come l’apertura di ulteriori processi a personaggi politici di spicco.

A livello politico, invece, le dichiarazioni di Guebuza stanno accelerando la guerra interna al Frelimo, alle prese con un congresso, fissato per il prossimo settembre, che dovrà scegliere il nuovo candidato presidenziale: i fedelissimi di Nyusi nelle reti sociali hanno immediatamente puntualizzato l’irrilevanza delle dichiarazioni di Guebuza, mentre la sua posizione è stata definita come dettata più da motivi personali (un figlio imputato) e politici (vendetta contro Nyusi) che da una serena volontà di ricostruire la verità dei fatti che lo hanno visto protagonista.

Quel che è certo è che Guebuza ha usato il tribunale per accelerare i conflitti dentro il Frelimo, screditando ulteriormente l’immagine di Nyusi, e segnalando che nessuno, nel partito, potrà fare i conti senza di lui e i suoi adepti per la scelta del prossimo candidato presidenziale.

Questa guerra per bande ha dato tuttavia l’idea di un sistema di potere alla fine di un ciclo, quello del Frelimo appunto, indipendentemente dalle sue ali e, è possibile aggiungere, dall’esito delle prossime elezioni politiche del 2024.

Il “teatro della BO”, insomma, continuerà, ma al di fuori dalle aule dei tribunali e spostandosi all’interno dei conclavi politici dei vari partiti, Frelimo in primo luogo.

 

Copyright © Nigrizia - Per la riproduzione integrale o parziale di questo articolo contattare previamente la redazione: redazione@nigrizia.it