Sudan, aspettando il cambiamento - Nigrizia
Politica e Società Sudan
Pochi i progressi democratici due anni dopo la caduta del regime
Sudan, aspettando il cambiamento
Nel paese la crisi economica morde ancora e la popolazione ha perso fiducia nel governo transitorio. Tra piccoli passi avanti e promesse mancate, gli islamisti rialzano la testa. Ma il morale della rivoluzione rimane alto
21 Aprile 2021
Articolo di Souleymane Hassan (da Khartoum)
Tempo di lettura 4 minuti
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Sono passati “solo” due anni dalla deposizione di Omar El-Bashir, un colpo di scena che allora aveva stupito molti qui a Khartoum. Strano che in un paese dove tutto sembra essere lento, il presidente fosse stato rimosso in pochi mesi di manifestazioni e di sit-in.

Eppure, questi due anni sembrano un’eternità. Sembra di essere nella celebre commedia Aspettando Godot, nella quale i due protagonisti aspettano per così tanto tempo che alla fine… si dimenticano chi o cosa stiano aspettando.

Due anni non sono lunghi, in un paese come il Sudan che ha tollerato due guerre civili decennali e 38 anni di legge islamica imposta senza alcuna consultazione popolare. Eppure, sembrano un’attesa che per molti si sta facendo snervante. Forse perché, in tempo di lockdown parziali e di recessione economica, la percezione stessa del tempo si dilata, o forse perché la gente la pazienza la sta consumando tutta nelle file che si fanno ovunque.

È da prima della caduta di El-Bashir che si fa la fila per il pane e, quando si riesce a trovarlo, lo si paga dieci volte il prezzo che si pagava due anni fa. A dicembre 2018 la gente di Atbara era scesa in strada perché il pane costava 2 lire alla pagnotta. Oggi lo si trova a 20, anche 25. Stessa musica, o forse peggio, per la benzina e i carburanti. Alcune file per il diesel durano giorni, con camion e auto fermi in fila per intere settimane. Dall’inizio dell’anno scarseggia anche la corrente elettrica, mentre il consumo continua a salire insieme alla temperatura che raggiunge il suo picco nei mesi di aprile e maggio.

E tutte queste “attese” sembrano soffocare nel dimenticatoio altre attese importanti. L’attesa della formazione di un’assemblea legislativa si protrae dall’accordo di agosto del 2019. Nell’ultimo rimpasto di governo, non si è trovato chi prendesse la patata bollente dell’educazione – un dicastero ad alto contenuto ideologico e con grossissime ripercussioni mediatiche – per cui si sta finendo un anno scolastico senza che ci sia una visione chiara per l’anno nuovo, con un’intera classe, la sesta elementare, che andrà agli esami senza aver prima ricevuto tutti i libri.

Il motivo? Su alcuni di questi la Fratellenza mussulmana batte ancora il tamburo di guerra perché sul libro di geografia compare il disegno di una bambina non velata e seduta con un bambino, e su quello di storia appare l’immagine michelangelesca di Dio in forma umana che crea Adamo. Il professor Omer al-Qarray – additato come responsabile di queste “sviste” – oltre che ad aver perso il posto di direttore per i curriculum, ha ricevuto minacce di morte e gira con la scorta.

L’esecutivo del primo ministro Abdalla Hamdok può vantare di aver fatto cose che fino a pochi mesi fa sembravano fantascienza, prima fra tutte aver posto fine all’embargo e aperto le banche al mercato internazionale, dando un duro colpo al mercato nero della valuta estera, alzando dalla sera alla mattina il cambio del dollaro da 55 a 350 lire sudanesi. E le banche adesso sono in fermento febbrile, tanto che si dice non riescano a stare dietro al flusso di denaro contante che sta entrando dall’estero.

Eppure, la macchina economica non parte. Ingolfata. E quella istituzionale, ancora peggio, con i falchi del vecchio regime del Partito del congresso nazionale (National Congress Party, partito islamista al governo con il deposto regime) che ancora dettano legge negli uffici locali e in tutti i ministeri.

Strana rivoluzione, quella sudanese. Il morale della rivoluzione è alto, tanto che non si è festeggiato l’anniversario della caduta di El-Bashir (l’11 aprile 2019), ma piuttosto di quando è cominciata l’intifada che poi lo ha fatto cadere (il 6 aprile). Ma la maggior parte della gente sembra non aver speranza nel governo attuale che, al di là di firme di pace e di accordi altisonanti, non sta producendo i cambiamenti che ci si attendeva.

Avevano promesso un paese libero, ma due anni dopo la caduta del regime vige ancora un sistema di sharia che è notoriamente fra i più rigidi al mondo, dove i diritti delle donne non sono gli stessi che per l’uomo, né tantomeno lo sono quelli dei non musulmani.

Avevano promesso educazione gratis per tutti e salari dignitosi per i maestri, ma i salari si sono prosciugati e adesso per fare gli esami statali per la primaria e la secondaria si deve pagare un occhio della testa. Altro che promesse non mantenute; qui si è fatta marcia indietro al punto che ce le siamo dimenticate proprio. Il Sudan aspetta. Fino a quando? Ma soprattutto: cosa?

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