I traffici d’oro che imbarazzano il governo ugandese - Nigrizia
Economia Politica e Società Uganda
Un rapporto internazionale certifica un’assenza di trasparenza “istituzionalizzata” nel paese
I traffici d’oro che imbarazzano il governo ugandese
Nel 2020 Kampala ha aderito all’EITI, organismo internazionale che promuove la trasparenza nella gestione delle risorse naturali. Ma da un suo recente report sono emerse importazioni illecite del metallo prezioso, soprattutto dalla vicina Repubblica democratica del Congo
04 Gennaio 2024
Articolo di Rocco Bellantone
Tempo di lettura 4 minuti

Nell’anno fiscale 2020-2021 le importazioni di oro grezzo dell’Uganda hanno superato in modo significativo le esportazioni di oro raffinato. A dirlo è un dossier, pubblicato il 30 giugno 2023, realizzato dall’EITI (Extractive Industries Transparency Initiative), organismo internazionale che promuove la trasparenza nella gestione delle risorse naturali e a cui aderiscono attualmente 57 Stati.

Il report è stato redatto dalle società di consulenza britanniche DT Global, VJW Consulting e BDO East Africa, con fondi dell’Unione Europea. Il governo dell’Uganda, paese entrato nell’EITI nel 2020, ne era a conoscenza. Il dossier è stato infatti prodotto in accordo con l’ufficio del direttore degli Affari economici del ministero delle Finanze ugandese, Moses Kaggwa.

Kampala ha aderito all’EITI proprio per scrollarsi di dosso la nomea di Eldorado per le reti dei trafficanti di oro nella regione dei Grandi Laghi, e si è messa a disposizione di questa indagine per mandare segnali rassicuranti alle società estere che investono nelle sue miniere e soprattutto nelle sue raffinerie. Di rassicurante in ciò che è emerso dal report dell’EITI ci sarebbe però ben poco.

Le società di consulenza britanniche che hanno lavorato al dossier si sono basate sui dati forniti dall’Uganda Revenue Authority (URA) e dal Directorate of Geological Survey and Mines (DGSM). Sotto la loro lente di ingrandimento sono finite sei aziende che operano nel paese che nel 2020-2021 hanno importato un totale di 41.740 chilogrammi di oro esportandone però solo 39.304 chilogrammi.

Che fine hanno fatto le quasi due tonnellate e mezzo che mancano all’appello? Le risposte possono essere due: o sono state vendute localmente in modo illegale, oppure sono in dotazione di una raffineria che non le ha dichiarate.

Nel mirino del rapporto dell’EITI sono finite in particolare tre società: African Gold Refinery, Aurnish Trading e Metal Testing and Smelting Co. Nel complesso le tre società nel 2020-2021 hanno registrato un deficit totale di 270 miliardi di scellini ugandesi (71,5 milioni di dollari).

African Gold Refinery, fondata dall’imprenditore belga Alain Goetz, controlla una grande raffineria di Entebbe. Nel 2022 è stata sanzionata dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea per presunte importazioni illegali di oro dalla Repubblica democratica del Congo. Per lo stesso motivo è finita sotto sanzioni da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite anche Metal Testing and Smelting Co.

I dati forniti dall’Uganda Revenue Authority confermano che il paese importa la maggior parte dell’oro che viene processato nelle sue raffinerie dalla Rd Congo, dallo Zimbabwe e dalla Tanzania. Le esportazioni sono in costante aumento dal 2014, in particolare verso gli Emirati Arabi Uniti.

Ma per l’Iniziativa globale contro la criminalità organizzata transnazionale una parte consistente di queste esportazioni sarebbe alimentata da oro importato illegalmente in Uganda attraverso reti di trafficanti.

Queste esportazioni sommerse costano ogni anno al fisco ugandese diversi miliardi di scellini. Qualcosa negli ultimi mesi sembra essersi mosso con diverse società del settore che sono state messe alle strette.

Lo scorso 20 ottobre le società Aurnish Trading, Bullion Refinery e Metal Testing and Smelting Co sono state condannate a risarcire 500 milioni di scellini per imposte arretrate che non avevano versato.

Ad aprile, una commissione parlamentare ha avviato un’indagine su delle esenzioni fiscali sulle esportazioni di oro, del valore di 616 miliardi di scellini, di cui per anni avevano beneficiato diverse società minerarie.

Dietro queste agevolazioni, costate alle casse dello Stato 43 miliardi di scellini, ci sarebbe la mano del presidente Museveni. Le pressioni esercitate dal presidente sulla Camera delle miniere e del petrolio, sin dalla sua istituzione nel 2010, sono note nel paese. Lo stesso presidente della Camera Richard Kaijuka, vicino a Museveni, possiede diverse licenze minerarie.

Ora che un rapporto di un organismo internazionale ha certificato questa assenza di trasparenza “istituzionalizzata” nel paese, resta da capire se chi regola e controlla il sistema dall’alto ha realmente intenzione di cambiarlo.

Guardando la mappa dei paesi aderenti all’EITI per il momento sembrerebbe di no. Dal 2020, anno della sua adesione, accanto alla cartina dell’Uganda resta infatti appeso un pallino di color grigio con accanto la scritta “Yet to be assessed”: ancora da valutare. 

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