Etiopia: il patriarca copto denuncia un genocidio nel Tigray - Nigrizia
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Il messaggio in un video sui social
Etiopia: il patriarca copto denuncia un genocidio nel Tigray
Per la prima volta dall’inizio del conflitto nella regione settentrionale, sei mesi fa, e a poche settimane dalle elezioni parlamentari nel paese, Abune Mathias prende la parola lanciando pesanti e inattese accuse contro il governo del primo ministro Abiy Ahmed. In molti ora temono per la sua incolumità
10 Maggio 2021
Articolo di Bruna Sironi (da Nairobi, Kenya)
Tempo di lettura 5 minuti
Abune Mathias
Il patriarca della Chiesa ortodossa etiopica Abune Mathias

Venerdì scorso, 7 maggio, mentre il parlamento etiopico decideva di bollare come movimenti terroristici il Tplf (Fronte popolare per la liberazione del Tigray, il partito che di fatto ha governato l’Etiopia dal 1991 al 2018 e ha vinto con una maggioranza schiacciante le elezioni dello scorso settembre in Tigray, non autorizzate dal governo di Addis Abeba) e l’Olf (Fronte di liberazione oromo, conosciuto anche come Shene), veniva diffuso sui social media un video ripreso con un telefonino, contenente le dichiarazioni del patriarca della Chiesa copta etiopica, Abune Mathias.

Il messaggio era stato girato alcune settimane prima da Dennis Wadley, fondatore e direttore di un’organizzazione non governativa statunitense, Bridges of Hope (Ponti di speranza) che sostiene alcuni progetti sociali della Chiesa copta, da tempo buon amico del patriaca.

Durante una visita di cortesia, Abune Mathias si era lamentato di essere di fatto agli arresti domiciliari e di non aver potuto diffondere il suo pensiero sulla crisi del paese, sostenendo che diversi messaggi da lui preparati, erano stati bloccati dalle autorità. Dennis Wadley aveva allora preso il suo cellulare e si era offerto di registrare le sue dichiarazioni e di farle conoscere. «Ho tirato fuori il mio smartphone e gli ho detto: se vuoi raggiungere il mondo, facciamolo». Appena ritornato negli Stati Uniti, aveva postato il video su YouTube.

Nei 14 minuti di girato, confermato come autentico da un responsabile della Chiesa copta etiopica, Abune Mathias, parlando in amarico (la lingua ufficiale etiopica) si rivolge a decine di milioni di fedeli, nel paese e nella diaspora, e alla comunità internazionale, rilasciando dichiarazioni inequivocabili. Afferma che «Molte barbarie sono state perpetrate in questo periodo in ogni angolo del paese ma quello che sta succedendo in Tigray è di estrema crudeltà e brutalità».

Parla esplicitamente diverse volte di genocidio. «Non capisco perché vogliano perpetrare un genocidio sul popolo del Tigray». E, più avanti, prima di elencare massacri e gravissimi abusi sui civili, soprattutto donne e bambini, in diverse località della regione, afferma: «Vogliono distruggere il popolo del Tigray». Continua dicendo che «Non è colpa del popolo del Tigray, tutto il mondo dovrebbe saperlo» e si appella perché si agisca sia localmente che internazionalmente in modo che «questa brutta stagione possa passare».

Sono dichiarazioni pesanti e inusuali sulla bocca di un leader spirituale copto, seppure conosciuto come una persona che ha sempre denunciato chiaramente le ingiustizie. Le sue parole sono destinate sicuramente a influire sulla credibilità e stabilità complessiva del governo del primo ministro Abiy Ahmed, sia nel paese che all’estero.

Il patriarca, infatti, è molto autorevole in Etiopia, dove la Chiesa copta, religione maggioritaria, è generalmente considerata come uno dei pilastri del potere, anche civile. In uno dei commenti postati su Twitter da tal Zecharias Zelalem, si dice che prima di lui solo l’Abune Theophilos si era espresso contro il governo. Era il 1979, durante il regime comunista del Derg. L’Abune Theophilos fu arrestato e poi messo a morte per strangolamento, il 14 agosto del 1979.

Una memoria storica che, ci si augura, serva come monito per il governo e come protezione per l’odierno patriarca, che ha rotto il silenzio dall’interno, in un paese in cui i mass media governativi diffondono solo la narrazione ufficiale dei fatti e in cui sia i giornalisti indipendenti che quelli tigrini sono intimiditi e minacciati.

Intanto, a conferma del loro peso politico, è già partita l’opera di ridimensionamento delle parole di Abune Mathias. Questa mattina, 10 maggio, sul sito satenaw.com di notizie amariche, è stato postato un articolo in cui si riportano le reazioni al video.

L’introduzione, in grassetto, afferma tra l’altro: “Pur esprimendo rabbia perché il governo di Abiy Ahmed ha messo a tacere il patriarca e perché ora potrebbe essere in pericolo, un numero considerevole di etiopici non sono d’accordo con la sua affermazione sul ‘genocidio in Tigray’, che suona piuttosto come quella di un propagandista del Tplf”.

Più avanti si dice che l’Abune stesso è originario del Tigray e si racconta che il video è stato diffuso da un sito tigrino. “Quando venerdì l’Associated Press ha pubblicato la storia di un video rilasciato dal patriarca etiopico Abune Mathias, il video stesso non era pubblicato. Quel video ha cominciato ad essere condiviso sui social media poco più tardi, dopo che era stato postato sul Tigray Media House” che è un sito indipendente, ma il giro del discorso suggerisce che potrebbe essere vicino, se non simpatizzante, del Tplf.

Su Twitter alcuni funzionari governativi si spingono fino a chiedere all’Abune di dimettersi, mentre altri considerano il video come un mezzo per fare pressione sulla comunità internazionale, in favore di un suo intervento nella regione.

Insomma, nel paese si respira un clima pesante, come è testimoniato anche da Payton Knopf, vice di Jeffrey Feltman, inviato degli Stati Uniti nel Corno d’Africa, nei giorni scorsi in visita ad Addis Abeba. «Abbiamo visto un cambiamento davvero enorme nella sicurezza e nel contesto politico in Etiopia. Il più fondamentale da quando il primo ministro è arrivato al potere, nel 2018. Questo cambiamento ha comportato una escalation della violenza, una sostanziale chiusura dello spazio politico e diversi altri problemi che hanno messo in gioco l’agenda delle riforme. La transizione dell’Etiopia come immaginata originariamente, quando il primo ministro Abiy è arrivato al potere, è veramente morta».

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