Le mezze verità di Abiy Ahmed - Nigrizia
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Etiopia-Eritrea
Le mezze verità di Abiy Ahmed
Il primo ministro etiopico ha finalmente ammesso la presenza di truppe eritree in Tigray, assicurandone il ritiro, ma sul terreno più fonti parlano di un coinvolgimento dei militari di Asmara anche su altri fronti interni al paese
26 Marzo 2021
Articolo di Bruna Sironi (da Nairobi, Kenya)
Tempo di lettura 6 minuti
Abiy Ahmed e Isaias Afwerki
Il presidente eritreo Isaias Afwerki e il primo ministro etiopico Abiy Ahmed al suo arrivo ad Asmara il 18 luglio 2019 (Ministero dell'informazione eritreo via Twitter)

Martedì 23 marzo, dopo quattro mesi e mezzo di guerra civile nel Tigray durante i quali aveva negato duramente l’evidenza dei fatti, il primo ministro Abyi Ahmed ha finalmente ammesso, in un clamoroso discorso davanti al parlamento di Addis Abeba, che l’esercito eritreo si trova sul territorio etiopico.

Ha cercato di smorzare la pregnanza politica della dichiarazione, indubbiamente e gravemente negativa per il suo governo, dicendo che Asmara, al momento dello scoppio della guerra civile in Tigray, aveva ammassato le sue truppe sul confine per questioni di sicurezza interna.

Ma ha poi dovuto ammettere anche gli abusi sulla popolazione civile e i danni alle infrastrutture compiuti dai soldati eritrei, e dunque il fatto che dal confine si erano mossi ben all’interno del paese. Non ha mancato di ringraziare il paese amico per tutto il supporto ricevuto, ma ha ovviamente sottolineato di aver discusso la situazione numerose volte con le autorità eritree che si sarebbero impegnate a ritirare le proprie truppe entro il confine nazionale al più presto e a punire i responsabili degli abusi.

Ma evidentemente ci sono ancora molti problemi aperti, dal momento che giovedì 25 marzo Abiy si è recato in Eritrea per una visita ufficiale di due giorni. In un comunicato diffuso il 26 ha fatto sapere che all’ordine del giorno c’era proprio il ritiro delle truppe eritree. Il resto del documento era assolutamente generico.

L’apertura ribadiva le responsabilità del Tplf per tutto quanto successo, compreso l’intervento eritreo, evidentemente. La conclusione assicurava la determinazione a proseguire sulla strada della cooperazione intrapresa fin dal 2018 e a costruire ponti di pace e solidarietà, in particolare tra le popolazioni del Tigray e delle regioni eritree confinanti.

Bisognerebbe chiedergli come pensa di raggiungere un tale obiettivo dopo la catastrofe umanitaria causata dall’intervento armato nella regione e soprattutto dopo le deprecabili parole con cui ha raccontato davanti al parlamento, e dunque al massimo dell’ufficialità, i gravissimi abusi sulla popolazione.

Secondo quanto riportato dal rapporto di EepA (Europe external programme with Africa) del 24 marzo, avrebbe messo sullo stesso piano gli innumerevoli stupri da parte dei soldati eritrei ed etiopici e l’attacco delle milizie tigrine alla base del Comando del Nord, l’ultima di una serie di provocazioni che, nella narrativa ufficiale, avrebbe scatenato il conflitto.

Secondo la traduzione dall’amarico, riportata tra virgolette, avrebbe addirittura detto che mentre ci si scandalizza per le donne tigrine violentate da uomini, non si dice niente dei soldati del Comando del Nord attaccati ed umiliati con le spade.

Parole ovviamente irricevibili da ogni punto di vista, ma soprattutto se si leggono le ormai numerosissime testimonianze raccolte nei campi profughi da donne scioccate e gravemente ferite da stupri di gruppo. Alcune hanno raccontato che, durante la violenza, veniva loro detto che si trattava di un atto dovuto alla volontà di cambiare l’assetto demografico della popolazione.

Non si sarebbe trattato dunque solo di assalti di maschi eccitati dal combattimento, ma anche di ordini dall’alto con una finalizzazione precisa, quella che non si può non descrivere come un tentativo di pulizia etnica.

D’altra parte che la guerra fosse sporca, e probabilmente volutamente sporca, era testimoniato dal fatto che il Tigray era tagliato fuori dal mondo e che veniva impedito l’accesso non solo ai giornalisti, ed era già grave, ma anche alle organizzazioni e alle istituzioni per la difesa dei diritti umani.

Solo nei giorni scorsi Addis Abeba ha accettato un’inchiesta dell’ufficio dell’Alto commissario per i diritti umani dell’Onu, ma accompagnato dalla Commissione etiopica per i diritti umani, ente paragovernativo e che non può, dunque, essere spacciato come indipendente.

Quanto poi al ritiro delle truppe eritree dall’Etiopia, non se ne vede per ora nessun segno. Molte sono invece le informazioni che fanno pensare ad un sempre maggior impegno a fianco dell’esercito etiopico anche in scacchieri diversi dal Tigray.

Il primo allarme è venuto dal governo sudanese che a più riprese ha denunciato la presenza di soldati eritrei negli scontri sul confine tra Etiopia e Sudan, nel triangolo di Al-Fashqa dove la tensione è in continuo aumento. Scontri violenti si sono avuti nei giorni scorsi. Ma ormai sembra che l’esercito eritreo intervenga ovunque ci sia un problema che mette in difficoltà Addis Abeba.

Secondo un sito dell’opposizione eritrea in esilio, eritreahub.org, la 22esima divisione eritrea sarebbe stata inviata nella regione Oromo. Due brigate sarebbero già sul terreno per contrastare l’avanzata dell’Esercito di liberazione oromo, conosciuto localmente come Olf/Shene.

Nei giorni scorsi, infatti, ci sono stati scontri con le milizie amhara in diverse località della regione. Si contano ormai a decine i morti anche tra i civili. Il coinvolgimento eritreo sarebbe provato da un documento di riconoscimento trovato addosso ad un militare morto in combattimento.

Il post di eritreahub.org citato sopra, riporta testimonianze dall’Eritrea raccolte dalla rete di opposizione clandestina Arbi Harnett (Venerdì libero) che da anni ogni venerdì organizza azioni di controinformazione nel paese. Nello stesso post si dice che diverse migliaia di giovanissimi in servizio nazionale sono stati inviati in Etiopia nelle scorse settimane.

Da altre fonti, ad Asmara, si sa che nelle ultime settimane è in atto nel paese il reclutamento forzato di giovani e giovanissimi, e anche che è ripresa la fuga di chi cerca di sottrarvisi, a maggior ragione ora che la destinazione non è più la scuola militare di Sawa, ma un fronte di combattimento in Etiopia.

Ma l’impegno eritreo in Etiopia non si limiterebbe ai campi di battaglia. Secondo voci ben informate di origine diversa, arriverebbe al punto da garantire la sicurezza ad Addis Abeba.

E anche la Somalia farebbe parte del gioco. Non è più un segreto che giovani somali siano addestrati in Eritrea in forza di un accordo tra i servizi di sicurezza dei due paesi. Molte voci, provenienti anche dalle famiglie stesse di questi giovani, dicono che sono stati mandati a combattere in Tigray, dove sarebbero morti a centinaia. Ma sempre più spesso si sente dire che l’esercito eritreo potrebbe essere chiamato a sostituire le truppe etiopiche, richiamate a casa all’inizio del conflitto in Tigray.

Si starebbe dunque cementando un’alleanza tra Etiopia, Eritrea e Somalia in cui l’esperienza eritrea nel controllare il paese con il pugno di ferro sarebbe stata assunta dai vicini che hanno deciso di affrontare le difficoltà interne con politiche autoritarie già ben sperimentate.

Alla luce di queste considerazioni, sarebbe interessante sapere che cosa Abiy Ahmed e Isaias Afwerki si sono detti davvero nei due giorni del loro ultimo incontro ad Asmara.

Nell’audio il racconto della crisi che sta vivendo l’Etiopia, fatto da p. Giuseppe Cavallini, missionario comboniano nel sud del paese.

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