La lotta al terrorismo che silenzia la società civile - Nigrizia
Conflitti e Terrorismo Politica e Società
Il contrasto a gruppi estremisti sempre più usato come pretesto per reprimere il dissenso
La lotta al terrorismo che silenzia la società civile
Il generico termine “terrorismo” è spesso usato come scappatoia per non rispondere ai propri cittadini sulle responsabilità dei governi o per liberarsi di personaggi scomodi. Aumenta così lo spazio per abusi che possono addirittura superare quelli dei gruppi estremisti
26 Giugno 2023
Articolo di Antonella Sinopoli
Tempo di lettura 5 minuti

Combattere il terrore producendone dell’altro. Anziché garantire la sicurezza dei cittadini e difenderli dagli abusi e le violenze del terrorismo, le misure impegnate per contrastarlo finiscono per violare (se possibile, ancor più tragicamente) i diritti umani della società civile.

Lo afferma uno studio condotto all’interno delle Nazioni Unite – Studio globale sull’impatto dell’antiterrorismo sulla società civile e sullo spazio civico -.  

Uccisioni extragiudiziali, detenzioni arbitrarie, sparizioni forzate, torture e trattamenti crudeli, inumani o degradanti. Ma anche privazioni della libertà, della sicurezza e della vita, sono pratiche regolarmente messe in atto dalle forze di sicurezza impegnate in (o con il pretesto di) attività legate all’antiterrorismo.

Da Stati e organismi, bisogna dirlo, membri delle Nazioni Unite. Misure applicate, molto spesso, per mettere a tacere, intimidire, controllare o, addirittura, per vendetta.

E la parola “terrorismo” usata come pretesto per non rispondere ai propri cittadini sulle responsabilità dei governi o per liberarsi di personaggi scomodi – oppositori, dissidenti, critici di determinati regimi -.

Come ha raccontato, tra gli altri, l’avvocato e attivista per i diritti umani ugandese, Nicholas Opiyo. Ma per quanto riguarda l’Africa numerosi sono i casi di violenze di Stato in tutte le aree del continente: il Sahel come l’Africa centrale, l’Ovest come la regione orientale e il Nordafrica.

Cos’è terrorismo?

A rendere il tutto quasi impunibile, “giustificabile” e comunque poco gestibile a livello di accuse ed eventuali condanne nei confronti di chi perpetra questi abusi, è una sorta di “fluidità” nel concetto di terrorismo così come ha spiegato Fionnuala Ní Aoláin, relatore speciale delle Nazioni Unite sull’antiterrorismo e i diritti umani, in occasione della presentazione del rapporto.

Concetto e strategie che oggi fanno ancora riferimento alla risoluzione 1373 del Consiglio di sicurezza dell’ONU approvata il 28 settembre 2001, all’indomani dell’attacco alle Twin Towers.

Una risoluzione che richiedeva una legislazione contro il terrorismo, ma non essendoci una condivisa definizione di quest’ultimo, ogni Stato si è trovato a valutare – ed affrontare – le situazioni interne caso per caso.

Oppure a decidere operazioni speciali su territori stranieri. È questo che ha allargato lo spazio per abusi che possono addirittura superare quelli dei gruppi estremisti. A cominciare da quando accadde a Guantanamo Bay, una delle più gravi violazioni dei diritti umani dei nostri tempi.

Dunque – afferma il rapporto ONU –  definizioni eccessivamente ampie e vaghe di terrorismo ed estremismo (violento) presenti nella legislazione e nei regolamenti di tutto il mondo consentono l’uso improprio di tali termini per prendere di mira e reprimere la società civile, i difensori dei diritti umani e le voci dissenzienti.

Questo può avvenire sia direttamente che indirettamente: attraverso la censura, le campagne diffamatorie, l’intimidazione, le restrizioni della libertà e altre forme di repressione.

Anti-terrorismo di genere

Ci sono poi forme specifiche di abuso, come per esempio quelle contro le donne, contro gli attivisti dei diritti umani e delle persone LGBT.

Il rapporto parla anche di “vessazioni giudiziarie e amministrative” in cui la società civile rimane spesso intrappolata nel contesto delle misure di prevenzione e contrasto del terrorismo, nonché di violazioni fondamentali del giusto processo, esacerbate dalla concessione di poteri eccezionali e magistrature compromesse.

Capita che molti non siano nemmeno accusati formalmente, ma fatti sparire con la forza, detenuti arbitrariamente e sottoposti a torture. Per non parlare di procedimenti legali soggetti a lunghi ritardi, detenzione in isolamento, prove in difesa non ammesse, condanne sproporzionate.

Oltretutto, le persone prese di mira – anche senza particolari e precise accuse – sono sempre più soggette a sorveglianza tramite spyware, dati biometrici e droni. Tanto che si parla delle nuove tecnologie come armi perennemente puntate contro la società civile.

Tutto questo può, nelle intenzioni di alcuni Stati, riferirsi soprattutto a minoranze etniche, culturali e linguistiche, che in tal modo vengono sempre più escluse dal resto della comunità oltreché stigmatizzate.

Del resto, misure antiterrorismo come la criminalizzazione, la sorveglianza, la riabilitazione obbligatoria e il carcere sono state spesso utilizzate per regolamentare e sopprimere gruppi emarginati e individui soggetti a forme incrociate di discriminazione.

Parliamo delle misure antiterrorismo di genere, come la non aderenza ai “valori familiari”, cosa in molte comunità considerata un reato, o i divieti sull’abbigliamento femminile. Situazioni che hanno esacerbato lo stigma sociale e creato oneri unici e sproporzionati per le donne e i giovani musulmani.

Effetti collaterali

Non è neanche una novità che, sempre più spesso, le misure antiterrorismo hanno avuto un impatto sulla capacità delle organizzazioni umanitarie di fornire assistenza indipendente e imparziale.

Laddove gli Stati hanno etichettato i conflitti armati come “contesti terroristici” o le Nazioni Unite o gli Stati hanno designato determinate organizzazioni come entità terroristiche, le misure antiterrorismo, comprese le sanzioni, hanno avuto un impatto negativo sulle operazioni e sulla fornitura di assistenza, andando a peggiorare condizioni già gravi.

L’uso negativo delle sanzioni e degli elenchi per prendere di mira gli attori umanitari che operano nei luoghi di conflitto, ad esempio, ha avuto conseguenze devastanti sull’accesso a cibo, medicine, alloggi e mezzi essenziali per la sopravvivenza della popolazione civile.

Insomma, negli ultimi 20 anni le libertà si sono andate assottigliando ma contemporaneamente non è sparita la paura. In molti casi più che dei gruppi terroristici, la paura è nei confronti dello Stato e di quelle organizzazioni che i cittadini dovrebbero proteggerli.

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