Migranti: merce di scambio e di ricatto - Nigrizia
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L'editoriale di giugno 2021
Migranti: merce di scambio e di ricatto
30 Maggio 2021
Articolo di Filippo Ivardi Ganapini
Tempo di lettura 3 minuti
migranti
Salvataggio in extremis di un gommone in avaria partito dalle coste libiche (interris.it)

Ceuta e Melilla sono assurde enclavi spagnole al nord del Marocco, frutto di concessioni storiche che evidenziano ancora oggi la pretesa occidentale di colonizzare e dominare il mondo.

Tra lunedì 17 e martedì 18 maggio sono arrivate in quei territori, come non si era mai visto, circa 8mila persone, un quarto di loro minori, con il via libera delle forze di sicurezza marocchine. Un lasciapassare che ha il sapore della vendetta nei confronti della Spagna, dal momento che quest’ultima ospita per cure Brahim Ghali, il leader del Fronte Polisario, che dagli anni Settanta si batte contro l’occupazione marocchina del Sahara Occidentale, ex colonia spagnola.

Sulla pelle dei migranti si giocano interessi geopolitici ed economici delle élite ai vertici del mondo, con gli strumenti del ricatto e dell’estorsione. La carne di Cristo, come chiama Papa Francesco il popolo dei migranti, è venduta sull’altare del profitto e ne paga sempre le conseguenze con morti in mare (+ 200% sulla rotta del Mediterraneo centrale, rispetto allo scorso anno) e in terra, violazioni sistematiche dei diritti umani e d’asilo, torture nei lager libici e nei boschi di Bosnia e Croazia, viaggi massacranti nella precarietà e nel pericolo. Come abbiamo toccato con mano, di notte, alla frontiera di Claverie, in Val di Susa (vedi a pag. 65 di questo numero).

L’Europa cinica, egoista e arrogante, continua a chiudersi a riccio nei suoi privilegi, di ieri e di oggi, per respingere chi bussa alle sue porte in cerca di vita e spinge più in là le sue frontiere per appaltare ad altri stati il blocco dei migranti in cambio di soldi. “Ti pago e tu trattienili lì” è, in fondo, il motto di Italia e Unione europea che hanno preferito il commercio alla politica.

In Niger, dove è presente un contingente italiano e una prossima base militare a bandiera tricolore, si paga per trattenere i profughi che scappano dal Sahel in fiamme, stretti tra attacchi jihadisti, persecuzioni politiche dei regimi, violazioni di diritti umani, mancanza di prospettive e cambiamenti climatici.

In una Tunisia al collasso economico, si moltiplicano i viaggi della ministra Lamorgese dove l’Italia cerca di trattenere le partenze e di aumentare i rimpatri (2.016 nel 2020 e oltre 600 nei primi cinque mesi del 2021).

In Libia, le milizie da sempre considerano i migranti un bancomat sicuro. Miliziani che guidano le sedicenti guardie costiere, oggi controllate dai turchi. E non è forse un caso che le partenze dalle coste siano aumentate vertiginosamente dopo che il premier Draghi, l’8 aprile scorso, ha accusato il presidente Erdogan di essere un «dittatore» con cui bisogna comunque collaborare.

Ankara, che batte cassa con l’Unione europea anche per trattenere i 4 milioni di rifugiati sul suo territorio, si è subito vendicata con l’allentamento della stretta sulle partenze.

Di fronte alla tratta continua dei migranti “dov’è tuo fratello?” (Gen 4,9) chiede ancora Dio a noi, adesso e sempre.


Sahara occidentale

Situato sulla costa nordoccidentale africana e colonia spagnola fino al 1975, questo territorio, ricchissimo di fosfati, è conteso tra Marocco e Fronte Polisario che ha dichiarato, nel 1976, l’indipendenza della Repubblica democratica araba dei Saharawi, riconosciuta a livello internazionale da 87 paesi dell’Onu. Dopo un cessate il fuoco tra le due parti, che durava dal 1991, il conflitto si è riacceso il 13 novembre scorso dopo che il Marocco ha occupato la località di Guerguerat, al confine con il Sahara Occidentale

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