Nigeria: il buco nero del petrolio - Nigrizia
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La corruzione da decenni soffoca questo decisivo settore economico
Nigeria: il buco nero del petrolio
La scoperta di sei chilometri di oleodotto clandestino operativo da anni nello stato del Delta del Niger, in un’area largamente sorvegliata, ha sollevato il velo su un radicato sistema di malaffare che non può prescindere da connivenze ad alti livelli
25 Ottobre 2022
Articolo di Giuseppe Cavallini
Tempo di lettura 5 minuti
Operai riparano una tubatura nello stato di Bayelsa

L’industria petrolifera della Nigeria, la più rilevante fonte di guadagno dello stato, ha una storia ben documentata di corruzione e di speculazioni legate al commercio del greggio che hanno fruttato milioni di dollari, finiti nelle tasche di politici e funzionari.

Basti pensare all’ininterrotto schema di sussidio governativo mai seriamente controllato fino all’assegnazione, piuttosto nebulosa, dei blocchi per le esplorazioni. In tal modo si spiega, almeno parzialmente, perché la produzione dell’oro nero sia crollata dai 2,2 milioni di barili giornalieri del 2011 a poco più di un milione a luglio 2022.

Un motivo che spiega ancor più palesemente il crollo nella produzione – secondo quanto denunciato dalle autorità – è la scoperta di alcuni oleodotti clandestini, per mezzo dei quali in un solo anno è stato rubato petrolio per il valore di 3.3 miliardi di dollari.

In un periodo, tra l’altro, in cui molti altri paesi produttori hanno incrementato alla grande le loro vendite, mentre la Nigeria si mostra incapace di produrre la quota di petrolio stabilita. E, considerato il grave indebitamento dello stato e l’estrema situazione di indigenza che ha colpito milioni di nigeriani, il paese non si può certo permettere di fare a meno di un’enorme quantità di proventi a causa dei ladri.

La tardiva scoperta degli oleodotti illegali rappresenta la prova più evidente della pervasiva corruzione che da anni si protrae in questo decisivo settore economico.

Oleodotti fantasma

Che vi sia il coinvolgimento di figure di governo è provato, ad esempio, dal fatto che qualche giorno fa l’Alta corte federale di Abuja ha confermato il sequestro di due abitazioni e di due automobili di lusso a Diezani Alison-Madueke, già ministra delle risorse petrolifere dal 2010 al 2015 nel governo dell’ex presidente Goodluck Jonathan.

Dopo essere stata arrestata e rilasciata su cauzione nell’ottobre 2015 a Londra, nel dicembre 2018 contro l’ex ministra la magistratura nigeriana aveva spiccato un mandato di arresto internazionale con le accuse di appropriazione indebita di fondi pubblici per 20 miliardi di dollari, proventi della vendita di petrolio. Fu allora che le sue proprietà furono congelate.

Alla faccia del governo, in ogni caso, i ladri di petrolio hanno costruito ben sei chilometri di oleodotto nello stato del Delta del Niger, all’interno dei numerosi e ben sorvegliati rami di fiume che corrono verso l’Oceano Atlantico. Laddove larghe chiatte e imbarcazioni varie caricano apertamente il greggio sottratto illegalmente da un’ampia piattaforma marina dismessa dall’Agip, visibile da chilometri di distanza.

«Un lavoro davvero professionale» ha commentato visitando il sito Mele Kyari, responsabile della Compagnia petrolifera nazionale nigeriana (Nnpc). Gli abitanti del luogo se la sono presa contro il governo, visto che a scoprire la ruberia, invece che i suoi funzionari addetti alla sorveglianza, è stata una compagnia di sicurezza privata.

Il che, come dimostra il caso di Diezani Alison-Madueke, conferma che varie autorità governative fossero consapevoli delle operazioni illegali e in qualche modo fossero coinvolte.

Sicurezza, business milionario

D’altro canto, il capo della compagnia privata che ha denunciato la ruberia, dal bizzarro nome Government Oweizide Ekpemupolo, noto anche come Tompolo, non è una figura ordinaria.

In passato, infatti, questo cinquantunenne capo del regno di Gbaramatu, nella ricca area dello stato del Delta, era stato coinvolto di persona – in quanto comandante dei guerriglieri del Movimento per l’emancipazione del delta del Niger (Mend) – nella distruzione dello stesso oleodotto di cui al presente è principale custode, dopo aver firmato lo scorso agosto con il governo un contratto di ben 110 milioni di dollari all’anno (più di 9 milioni di dollari al mese), in cambio della garanzia di sicurezza degli oleodotti.

Dall’essere la persona più ricercata nella regione estrattiva nigeriana per lo sfruttamento clandestino di petrolio, Tompolo si è pertanto trasformato nel più ricco ex trafficante dell’oro nero. Riuscendo tra l’altro a vendere al paese un’intera flotta di navi da guerra.

Poiché conosce bene la geografia e le dislocazioni delle strutture petrolifere del Delta del Niger, dove gode di un potere enorme, ha di certo conoscenza diretta anche dei ladri di petrolio. Insomma, nessuno avrebbe potuto permettersi di condurre pacificamente per anni operazioni illegali nel suo territorio senza che lui ne fosse a conoscenza. 

Tra l’altro, Tompolo ha dichiarato che «molti agenti della sicurezza sono coinvolti nei traffici, visto che non è possibile fare un carico senza corrompere gli incaricati della sicurezza nelle località dove avvengono i furti». E ha aggiunto che molto petrolio è stato sottratto illegalmente proprio dalle aree in cui sono presenti posti di controllo dell’esercito o della marina.

Non è peraltro la prima volta che le agenzie di sicurezza nigeriane, specie le alte sfere dell’esercito e della marina, vengono accusate di ruberie di petrolio. Lo scorso gennaio Nyesom Wike, governatore dello stato di Rivers, adiacente al Delta, pretese il licenziamento di un poliziotto incaricato di monitorare le operazioni petrolifere perché coinvolto di persona nel furto di petrolio nell’area di Emuhoa.

Già nel 2019 lo stesso Wike aveva accusato un alto ufficiale dell’esercito di un ingente furto di petrolio. Un fatto che ha gettato un forte discredito sullo stesso presidente Muhammadu Buhari, che aveva promesso di combattere la corruzione e aveva preso su di sé il ministero delle risorse petrolifere.       

In molti ritengono che solo con il governo che rimpiazzerà la presente amministrazione – le elezioni sono a febbraio 2023 – si saprà fino a che punto sono radicate corruzione e malaffare legati al petrolio. In molti temono però che il sistema continui ad alimentare sé stesso, così come avviene ormai da oltre 60 anni.

 

 

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