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Si riaccendono le istanze indipendentiste della regione
Senegal: in Casamance quarant’anni di conflitto
L’intervento militare di Dakar. L'uccisione e il sequestro di soldati senegalesi da parte dei separatisti del Mfdc. Le accuse della Guinea-Bissau di coinvolgimento nel presunto tentato golpe. Un conflitto silente, insoluto da decenni, perenne minaccia alla stabilità della regione
14 Febbraio 2022
Articolo di Antonella Sinopoli (dal Ghana)
Tempo di lettura 6 minuti
Colonna dell'esercito senegalese in Casamance

Quarant’anni di conflitto. Un conflitto di quelli cosiddetti a “bassa densità”. Risale al 1982 l’inizio della lotta per l’indipendenza dal Senegal della regione meridionale del paese, la Casamance. Una lotta che fa capo al Movimento delle forze democratiche della Casamance (Mfdc). Quattro decenni che hanno provocato migliaia di vittime e sfollati e una vita sotto la minaccia di azioni improvvise dei ribelli da un lato e della risposta dell’esercito governativo dall’altro.  Si tratta di uno dei conflitti più lunghi del continente africano e – come sempre in questi casi – torva le sue radici nelle dominazioni (e successive spartizioni) coloniali. Bisogna infatti ricordare che la Casamance, 1,9 milioni di abitanti, un tempo faceva parte delle colonie portoghesi nell’Africa occidentale, insieme a quella che oggi è la Guinea-Bissau.  

Radici coloniali 

Tutto cominciò quando i francesi espulsero i portoghesi e colonizzarono quella striscia di terra divisa dal nord del Senegal, dal Gambia. Non solo occuparono il territorio ma per rimarcare il taglio netto con il passato – anche quello tradizionale, ancestrale – mandarono in esilio Alinsitowe Diatte, regina dei diola, l’etnia di religione cristiana prevalente nella regione. Un’etnia legata a uno stile di vita rurale che lamenta atteggiamenti di superiorità e discriminazione da parte dei wolof, i “cittadini musulmani”.  

Risale a quel periodo la nascita dell’Mfdc che nel 1947 proclamò per la prima volta l’autonomia della Casamance. Ma fu a partire dall’indipendenza del Senegal dalla Francia (1960) che le rivendicazioni separatiste divennero, ovviamente, una questione interna.  Il primo scontro ufficiale si fa risalire al 26 dicembre 1982, quando diverse centinaia di separatisti manifestarono davanti all’ufficio del governatore nella capitale regionale di Ziguinchor a favore della secessione. Una manifestazione che si risolse in scontri, diversi feriti e l’arresto di 63 persone. Tra queste Augustin Djamakoun Senghor, leader del movimento separatista.  

È da allora che va avanti questo conflitto a bassa densità. Con periodi di maggiore violenza (per esempio quello dall’1989 al 1997), tentativi di avviare percorsi di pace e trattative (anche recenti), scissioni tra le diverse frange del movimento, missioni francesi (a dimostrazione della mai cessata ingerenza negli affari del paese), accuse di crimini – da una parte e dall’altra – contro i civili.

E non bisogna dimenticare il coinvolgimento del Gambia, fisicamente – ma anche storicamente – al centro di una contesa nata da divisioni territoriali che hanno seguito solo la logica dell’invasione. Il paese era stato a lungo accusato di aiutare i ribelli. Ma il presidente gambiano Adama Barrow, salito al potere nel 2017 e riconfermato lo scorso dicembre, è considerato molto vicino al collega senegalese Macky Sall. Oltretutto, la posizione geografica della Casamance, quasi separata – dicevamo – dal resto del Senegal dal Gambia, ha alimentato la percezione della lontananza e discriminazione da parte del governo di Dakar.  

Conflitto ancora aperto 

Veniamo ad oggi. Se nello stesso periodo dello scorso anno l’offensiva militare nella regione da parte delle forze di governo aveva fatto arretrare i ribelli separatisti, aumentando la prospettiva che uno dei conflitti più antichi dell’Africa potesse finalmente finire, è bastata un’operazione recente dell’Mfdc a rimettere tutto in discussione. Il 24 gennaio fa i separatisti hanno ucciso quattro soldati senegalesi e preso in ostaggio altri sette nel corso di scontri al confine con il Gambia. I soldati uccisi facevano parte dell’Ecomig, la missione di pace del blocco Ecowas/Cedeao in Gambia. Missione avviata nel 2017, quando l’allora dittatore Yahya Jammeh rifiutava di cedere il potere dopo aver perso le elezioni presidenziali. I sette sequestrati sono stati poi rilasciati in Gambia, il 14 febbraio, in seguito a trattative con l’Ecowas. 

Secondo l’esercito senegalese gli scontri sono nati durante operazioni tese a combattere la deforestazione nella regione. Tra i tanti problemi, la perdita delle foreste nella Casamance è una questione ambientale di vastissima portata. Finora la regione ha perso 10.000 ettari delle sue foreste a causa del disboscamento illegale, per un totale stimato in un milione di alberi.  A tutto questo si aggiunge l’esplosione della produzione di cannabis che ha preso il posto di altre coltivazioni. Una riconversione della terra, da parte degli agricoltori locali, indispensabile alla sussistenza, visto che un chilo di cannabis rende 30 euro contro i 70 centesimi delle cipolle. Coltivazione che ha dato vita a un traffico fiorente – oggi Casamance è il terzo produttore in Africa dopo Nigeria e Ghana – e che servirebbe anche al finanziamento delle truppe ribelli.  

Accuse da Bissau

Come dicevamo, la posizione della regione è strategica a livello geografico e per questo coinvolta a livelli diversi con i paesi confinanti, non solo il Gambia che appunto divide il Senegal di Dakar, dalla Casamance di Ziguinchor, capoluogo della regione.  

Il confinante stato della Guinea-Bissau è spesso stato (e ancora lo è) il luogo dove hanno trovato rifugio leader o esponenti del movimento separatista e ha dovuto affrontare spesso l’accusa di aiutare i ribelli. Il presidente Umaro Sissoco Embalò, anche lui alleato di Macki Sall, deve oggi fare i conti con il presunto tentativo di golpe di qualche giorno fa in cui, secondo il portavoce del governo Fernando Vaz, sono coinvolti esponenti dell’Mfdc.

“Mercenari” e “corrieri di droga” questi i termini con cui sono stati definiti i ribelli che avrebbero preso attivamente parte al tentativo di colpo di stato. La situazione rimane dunque difficile, ingarbugliata e complessa. E soprattutto richiede un’ampia visione della politica dei vari governi nell’Africa occidentale. Non basta sostenersi tra leader, tra capi di stato. Ricordiamo che oggi Macky Sall riveste anche il ruolo di presidente di turno dell’Unione africana. Lo sguardo, senza preconcetti, va rivolto alle popolazioni, vittime di giochi superiori, di interventi che non approcciano le condizioni sociali e le ragioni incancrenite del conflitto.  

I due anni a venire saranno cruciali e possono andare – a conti fatti – in entrambe le direzioni: quella della recrudescenza del conflitto o quella della pace. Nel 2024 sono attese le elezioni presidenziali a cui Macky Sall con grande probabilità vorrà ripresentarsi estendendo i due mandati canonici.  A fine gennaio si è votato per le municipalità, un test per le prossime tornate elettorali, soprattutto per quanto riguarda le forze di opposizione. Intanto, ha il suo peso la vittoria di Ousmane Sonko, 47 anni, diventato sindaco di Ziguinchor. Sonko, che arrivò terzo alle presidenziali del 2019, è già visto come il principale rivale di Sall nelle prossime consultazioni.  

In questo paese spaccato continua intanto una situazione di “non pace e non guerra” dove la discussione politica sulle eventuali soluzioni (sistema federale, indipendenza?) è ancora debole. L’unica cosa certa rimane l’incertezza del futuro. 

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