Sudan: Lundin Energy accusata di complicità in crimini di guerra - Nigrizia
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I vertici della compagnia petrolifera chiamati a giudizio in Svezia
Sudan: Lundin Energy accusata di complicità in crimini di guerra
Il presidente e l’ex amministratore delegato sono stati incriminati dal tribunale di Stoccolma. Devono rispondere di complicità nei crimini commessi da esercito e milizie alleate di El-Bashir contro i civili per il controllo dell’area di estrazione, in quello che all’epoca dei fatti era il Sudan meridionale, l’odierno Sud Sudan
12 Novembre 2021
Articolo di Redazione
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Petrolio e conflitti

Il presidente e principale azionista della compagnia petrolifera Lundin Energy, Ian H. Lundin, è stato incriminato in Svezia per favoreggiamento in crimini di guerra commessi tra il 1997 e il 2003 nel Sudan meridionale (l’attuale Stato del Sud Sudan, diventato indipendente nel 2011), insieme all’ex amministratore delegato Alex Schneiter, oggi membro del consiglio di amministrazione.

Nella sua richiesta di rinvio a giudizio (232 pagine), l’autorità giudiziaria svedese ha annunciato che chiederà anche la confisca di 1,39 miliardi di corone svedesi (161,7 milioni di dollari) in profitti ottenuti dalla vendita dell’attività nel paese, nel 2003.

I pubblici ministeri svedesi ritengono che nel 1999 la società abbia chiesto al governo sudanese di garantire la sicurezza nell’area di concessione di un potenziale giacimento petrolifero, ben sapendo che i militari avrebbero dovuto rompere un accordo di pace locale e che questo avrebbe comportato l’avvio di un conflitto in quel territorio. Si stima che circa 12mila persone morirono a causa della guerra per il controllo dell’area di concessione della Lundin.

Le accuse contro i due vertici includono complicità in attacchi intenzionali contro i civili, uso della fame come arma di guerra, lo sfollamento forzato di ameno 200mila persone, stupri, torture e uso di bambini soldato, crimini commessi dall’esercito sudanese e dalle milizie alleate.

L’indagine, avviata nel 2010, fa seguito a un rapporto sulla presenza di Lundin nel Sudan meridionale redatto dall’organizzazione non governativa olandese Pax for Peace, che accusa l’azienda svedese, alla guida di un consorzio con OMV e Petronas, di essere complice dei crimini. Le tre società negano ogni addebito.

“Questa è una grande vittoria per la giustizia e un risultato storico… Ѐ è la prima volta da Norimberga che una società quotata in borsa è chiamata a rispondere in tribunale per crimini di guerra”, ha dichiarato il portavoce di Pax, Egbert Wesselink.

In effetti, il processo rappresenta un caso esemplare nel diritto penale internazionale. I pubblici ministeri svedesi hanno giurisdizione universale per alcuni crimini internazionali, ma non è affatto semplice portare a giudizio un colosso come Lundin – che fa capo a una delle principali famiglie imprenditoriali svedesi, che controlla diverse compagnie petrolifere, minerarie e di risorse naturali -, chiamandolo a rendere conto del suo ruolo in violazioni dei diritti umani nel paese in cui ha operato.

In questo senso il processo rappresenta, a li là del verdetto finale, una pietra miliare che potrà contribuire a ridefinire gli standard legali e incoraggiare altri pubblici ministeri a occuparsi di casi simili. Purtroppo ancora frequenti in Africa.

Di sicuro sarà seguito con particolare attenzione dalle migliaia di vittime del conflitto che dal processo potranno trarre però solo soddisfazione morale. Il tribunale svedese può infatti decidere che gli indagati risarciscano i testimoni, ma non può obbligare la società a ricompensare le decine di migliaia di altri che sono stati danneggiati.

«È comunque importante che questi gravi crimini non vengano dimenticati», ha commentato il pubblico ministero svedese che ha diretto l’inchiesta, Henrik Attorps. «Un grande numero di civili è stato vittima dei crimini commessi dal regime sudanese di El-Bashir (che per questo è ricercato dalla Corte penale internazionale, ndr), ai quali crediamo abbiano partecipato i sospettati. Molti dei sopravvissuti sono stati costretti a fuggire dalle loro case per non tornare mai più e ancora non sanno cosa sia successo ai loro parenti e amici, da cui erano stati separati».

La pensa così il Consiglio delle Chiese del Sud Sudan che ha ribadito pubblicamente la sua vicinanza alle vittime che da vent’anni chiedono giustizia.

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