In Tanzania decine di progetti per il mercato dei crediti di carbonio
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Grazie alla concessione delle sue foreste il paese ha attratto finanziamenti per oltre 20 miliardi di dollari
In Tanzania decine di progetti per il mercato dei crediti di carbonio
06 Dicembre 2023
Articolo di Redazione
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Il controverso mercato dei crediti di carbonio continua ad espandersi in Africa. E la Tanzania, con i suoi quasi 48 milioni di ettari di foreste e una legislazione ad hoc, sta assumendo un ruolo di leadership nel settore.

Nei giorni scorsi l’agenzia di gestione dei parchi nazionali (Tanapa) ha siglato con la società tanzaniana Carbon Tanzania uno dei più vasti progetti di carbon credits dell’Africa orientale. Il progetto copre sei parchi nazionali (Burigi-Chato, Katavi Plains, Ugalla River, Mkomazi, Gombe Stream e Mahale Mountains) che si estendono su un’area complessiva di 1,8 milioni di ettari.

Nel darne notizia, Carbon Tanzania fa sapere che il progetto garantirà “la protezione, conservazione e la migliore gestione di queste aree, salvaguardando gli ecosistemi naturali e le risorse vitali della fauna selvatica”, e che parte dei ricavi derivanti dalla vendita dei crediti di carbonio andranno alle comunità locali.

I guadagni provenienti dalla vendita saranno suddivisi anche con Tanapa e con la Mohammed Enterprises Tanzania Limited (MeTL), società attiva nel commercio di beni agricoli, industriali e di consumo, di proprietà del noto uomo d’affari tanzaniano Mohammed Dewji, che co-finanzia il progetto.

Quello tra Tanapa e Carbon Tanzania non è il solo progetto di questo tipo avviato nel paese. La Tanzania è infatti una delle sei nazioni africane che hanno sottoscritto accordi preliminari per la cessione di vaste aree forestali alla Blue Carbon, società degli Emirati Arabi Uniti che grazie al mercato dei crediti di carbonio si è accaparrata oltre 25 milioni di ettari nel continente.

In particolare, il governo della presidente Samia Suluhu Hassan, sempre più vicino ai paesi petroliferi del Golfo, si è impegnato nella consegna all’azienda emiratina di 8,1 milioni di ettari, quasi l’8% della superfice del paese.

Lo scorso luglio l’ufficio del vicepresidente ha inoltre rivelato che anche una ventina di altre aziende – di Stati Uniti, Canada, Svizzera, Russia, Italia, Singapore, Estonia, Emirati Arabi e Kenya – si sono impegnate a investire in progetti di crediti di carbonio nel paese, per un totale di oltre 20 miliardi di dollari.

La Tanzania, fa sapere il sito carboncredit.com, sta anche lavorando a quello che definisce “il più grande progetto di crediti di carbonio in Africa”, nell’ambito di una partnership tra la Tanzania Wildlife Management Authority e la GreenCop Development, una società con sede a Singapore impegnata nella produzione di bio-carburanti.

Lobby petrolifere

E proprio il mercato dei carbon credits – certificati o titoli negoziabili che permettono a un’azienda di compensare la sua emissione di CO2 con progetti ambientali che assorbono le emissioni di anidride carbonica – è tra i temi discussi in questi giorni alla Conferenza ONU sul clima (COP28) a Dubai.

Un vertice largamente contestato dai gruppi ambientalisti e della società civile, non solo per la presidenza affidata all’amministratore delegato della principale compagnia petrolifera statale dell’emirato, ma anche per la massiccia presenza di lobbisti dei combustibili fossili.

Almeno 2.456, secondo la coalizione Kick Big Polluters Out (KBPO). Una presenza record ai cruciali colloqui sul clima, da parte dei rappresentanti di alcuni dei più grandi inquinatori del pianeta.

“I lobbisti del fossile hanno ricevuto più pass di tutti i delegati delle dieci nazioni più vulnerabili dal punto di vista climatico messi insieme, che sono 1.509”, fa notare la coalizione.

E sono in inferiorità numerica solo rispetto alle 3.081 persone portate dal Brasile (che dovrebbe ospitare la COP30) e dagli Emirati Arabi Uniti, che ne hanno addirittura 4.409. (MT)

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