Uganda: l’ufficio ONU per i diritti umani lascia il paese - Nigrizia
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A febbraio il governo aveva avvertito l’OHCHR che il suo permesso di operare non sarebbe stato rinnovato
Uganda: l’ufficio ONU per i diritti umani lascia il paese
07 Agosto 2023
Articolo di Redazione
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Dopo la chiusura delle sedi secondarie di Gulu e Moroto, l’ufficio dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR) in Uganda ha chiuso ieri anche la sede principale a Kampala, cessando definitivamente le sue operazioni nel paese.

“Mi rammarico che il nostro ufficio in Uganda abbia dovuto chiudere dopo 18 anni, durante i quali abbiamo potuto lavorare a stretto contatto con la società civile, persone provenienti da diversi ceti sociali, oltre a impegnarci con le istituzioni statali per la promozione e la protezione dei diritti umani di tutti gli ugandesi”, ha dichiarato l’Alto commissario Volker Türk.

In particolare, Türk ha espresso preoccupazione per il periodo che precederà le elezioni del 2026, dato un ambiente sempre più ostile per difensori dei diritti umani, attori della società civile e giornalisti.

Ѐ l’epilogo di un percorso di accompagnamento alla porta iniziato il 3 febbraio con l’annuncio delle autorità ugandesi che il permesso di operare, una volta scaduto, non sarebbe stato rinnovato.

L’Uganda non ha bisogno di agenzie straniere per tutelare le libertà e i diritti, aveva sostenuto allora il ministero degli esteri, elogiando il “forte impegno del governo per la promozione e la protezione dei diritti umani, la pace prevalente in tutto il paese unita a forti istituzioni nazionali per i diritti umani e a una vivace società civile con la capacità di monitorare la promozione e la protezione dei diritti umani in tutto il paese”.

Una decisione ovviamente sostenuta dal presidente Yoweri Museveni, che governa la nazione con il pugno di ferro dal 1986.

Evidentemente, però, la sua concezione di diritti umani non collima con quella delle istituzioni internazionali, visto che l’Uganda pratica da decenni censura, arresti e detenzioni arbitrarie, tortura e sparizioni forzate di attivisti delle opposizioni e di chiunque – intellettuali, professionisti e giornalisti – non sia allineato al regime.

Tanto che alcuni sono stati costretti all’esilio. Una scelta che hanno compiuto di recente anche molti cittadini appartenenti alla comunità LGBTQ+, dopo l’approvazione e l’entrata in vigore, il 30 maggio, dell’Anti-homosexuality Act 2023, una delle leggi anti-LGBTQ+ più dure in Africa e nel mondo. 

Una normativa che arriva a prevedere la pena di morte per attività sessuali con persone sotto i 18 anni.

Da oggi, dunque, la tutela dei diritti fondamentali delle persone è affidata alla Commissione ugandese per i diritti umani (Uhcr), organizzazione istituita dal governo nel 2020 e che finora si è fatta notare per i silenzi su molti casi di repressioni, violenze e abusi.

Un’istituzione “sottofinanziata e con personale insufficiente” scrive Türk, denunciando anche “interferenze politiche nel suo mandato che ne minano la legittimità, l’indipendenza e l’imparzialità”.

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