Etiopia: si accentuano le crisi interne - Nigrizia
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Aumentano i malumori nella compagine di governo per le politiche imposte dal primo ministro
Etiopia: si accentuano le crisi interne
Doveva essere il governo della prosperità, invece la gravissima crisi economica e i perduranti conflitti stanno conducendo il paese alla bancarotta. Abiy Ahmed, alle prese con il dissenso interno al partito, tenta di distogliere l’attenzione, rischiando però di riaccendere vecchi contrasti regionali
18 Dicembre 2023
Articolo di Giuseppe Cavallini
Tempo di lettura 5 minuti

La pace siglata in Sudafrica nel novembre 2022, che aveva posto fine al conflitto in Etiopia tra il governo centrale e lo Stato-regione del Tigray, aveva offerto al primo ministro Abiy Ahmed la possibilità di spostare le operazioni dell’esercito federale sulle rimanenti situazioni conflittuali presenti negli Stati-regione Oromia e Amhara.

Dove peraltro le violenze e gli scontri proseguono dopo il fallimento di ogni tentativo di giungere alla pace affidandosi a trattative.

I miliziani del FANO in Amhara, su cui si sono peraltro concentrate maggiormente le più recenti operazioni militari di Addis Abeba, e i ribelli dell’Esercito di liberazione oromo (OLA), sono in realtà decisi a proseguire il conflitto, rifiutando qualsiasi proposta di pace che non incontri le condizioni da essi poste.

Tra gli esperti di politica del Corno d’Africa non sono pochi quelli che sostengono che Abiy Ahmed stia battendo nuove strade per distogliere l’attenzione interna ed esterna dalla gravissima crisi economica e dai perduranti conflitti che stanno conducendo il paese alla bancarotta.

A conferma del momento critico che l’Etiopia sta vivendo vanno notificate le recenti decisioni del primo ministro di nominare nuovi ufficiali ma anche di estromettere in pochi giorni dalla compagine governativa due ministri che si sono pronunciati criticamente nei confronti dell’attuale evoluzione politica.

Si tratta di Taye Dendea, di etnia oromo, ministro della Pace, arrestato con l’accusa di attività terroristiche, e Teshale Belihu, ministro del Commercio.

Questo dopo la fuga all’estero di Asemahegn Asres, giovane parlamentare amhara del Partito della prosperità, contrario alla «guerra dichiarata contro la popolazione della regione».

Sbocco al mare

Il tema critico di maggior rilievo sollevato da Abiy Ahmed da vari mesi, d’altro canto, riguarda certamente il suo pronunciamento pubblico in merito all’urgenza per l’Etiopia, oggi senza alcuno sbocco sull’oceano, di avere accesso ad un porto sul Mar Rosso, unica strada per garantire la possibilità di soddisfare le enormi e crescenti necessità a tutti i livelli di un paese che, tra qualche decina d’anni, conterà 150 milioni di abitanti.

Di questa urgenza il primo ministro aveva già parlato lo scorso luglio ad Addis Abeba in un incontro di imprenditori, dichiarando allora l’intenzione di realizzare l’obiettivo dell’acquisizione di un porto attraverso trattative pacifiche, senza escludere tuttavia che se questa strada fallisse si sarebbe potuto ricorrere all’uso della forza.

Di fronte all’immediata reazione negativa dei paesi limitrofi (Somalia, Gibuti e Eritrea), Abiy aveva poi fatto retromarcia riguardo alle sue dichiarazioni bellicose.

Lo scorso ottobre, tuttavia, il primo ministro, in parlamento aveva ribadito che l’Etiopia ha un diritto naturale e legale, storico e demografico a possedere uno sbocco sul Mar Rosso.

«Ciò che mi rattrista – ha dichiarato tra l’altro Abiy ai membri del parlamento – è che anche in ambito parlamentare venga considerato da molti un tabù parlare dell’agenda riguardante l’accesso al Mar Rosso».

Considerando lo sbocco marittimo una questione esistenziale per il paese, data anche la continua crescita della popolazione, Abiy Ahmed – come menzionato – ha nuovamente sottinteso che pacificamente o anche con la forza intende giungere ad una soluzione di questo problema.

I media governativi, insieme a vari funzionari e gruppi di attivisti affiliati ai social media controllati dal governo, hanno ripreso le dichiarazione lanciando una campagna alquanto aggressiva soprattutto nei confronti dell’Eritrea, peraltro in violazione dei principi delle Nazioni Unite che prescrivono di astenersi dal minacciare l’uso della forza volta per violare la sovranità e l’integrità territoriale di un altro Stato.

Tensioni con Asmara

Le due strade che si prospettano, pertanto, sono quella radicale dei nazionalisti ad oltranza che sarebbero disposti a lanciare un aperto conflitto con l’Eritrea pur di raggiungere il proprio obiettivo, e che ritengono che con le buone o le cattive il governo debba prendersi i porti di cui storicamente ha usufruito, e di chi, battendo la via del dialogo, vorrebbe che l’accesso al mare fosse raggiunto sulla base di una positiva cooperazione regionale, promuovendo gli interessi di tutte le parti coinvolte.

Tutto lascia pensare che il primo ministro, parlando di un porto sul Mar Rosso, si riferisse particolarmente ad Assab, nel sud dell’Eritrea, che insieme a Massawa era parte integrante dell’Etiopia fino al raggiungimento dell’indipendenza dell’Eritrea, oltre 30 anni or sono.

Peraltro Addis Abeba, fino al 1998, aveva potuto usufruire del porto di Assab, pagando una somma annuale per l’usufrutto della struttura, ma tale opportunità era stata interrotta in seguito al conflitto per questioni di confine scatenatosi in quell’anno tra le due nazioni, che costò la vita a decine di migliaia di persone.

La guerra lasciò profonde ferite rimarginatesi in apparenza solo dopo la firma di un accordo di pace tra Abiy Ahmed, nominato primo ministro nel 2018, e il presidente eritreo Isaias Afwerki. Accordo che, come noto, fece ottenere al primo ministro etiopico il Nobel per la pace.

Dal 1998, comunque, l’Etiopia fu costretta a trovare in Gibuti, paese che confina sia con l’Etiopia che con l’Eritrea, un nuovo sbocco per garantirsi i propri flussi commerciali, una soluzione che col passare del tempo divenne finanziariamente sempre più onerosa per Addis Abeba.

Va anche detto che, da quando fu interdetto ad Addis Abeba l’uso del porto di Assab, né l’Etiopia né la popolazione Afar che vive nell’area portuale né la stessa Eritrea hanno tratto vantaggio dalla struttura portuale, rimasta per lo più inoperosa.

Al di là della reazione negativa di tutti i paesi limitrofi, comunque, l’intento di Addis Abeba sembra acquistare crescente credito nell’opinione pubblica etiopica, nello stesso modo in cui si andò dipanando la controversia intorno alla costruzione della grande giga della Rinascita sul Nilo Azzurro (GERD), il cui bacino alla fine, pur se in modo unilaterale, giunse ad essere riempito.

C’è da sperare che questa nuova iniziativa di Abiy Ahmed eviti di condurre ad un nuovo conflitto che sarebbe devastante per l’intero Corno d’Africa.  

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