Niger: limiti della strategia anti-jihadista - Nigrizia
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Lotta al terrorismo
Niger: limiti della strategia anti-jihadista
Si intensificano gli attacchi nell’ovest del paese: 203 morti in sei giorni. Violenze non rivendicate, ma che portano il marchio del gruppo Stato islamico nel Grande Sahara, il solo capace di operazioni di tale spessore. Dall’inizio dell’anno sono quattro gli attacchi contro i civili nella zona
25 Marzo 2021
Articolo di Aurelio Boscaini
Tempo di lettura 5 minuti
Soldati nigerini di pattuglia

Dopo l’attacco del 21 marzo il governo ha decretato un lutto nazionale di tre giorni, dal 23 al 25 marzo. Il Niger, nella zona a ovest, vicina al Mali, si trova colpito dagli attacchi più sanguinosi di questi ultimi anni, attacchi attribuiti a gruppi jihadisti.

Domenica 21 marzo hanno ucciso 137 persone, un bilancio che va ad aggiungersi ai 66 morti degli attacchi di alcuni giorni prima. Il governo attribuisce le azioni compiute contro le località di Intezayane, Bakorat, Woursanat e atri borghi e accampamenti situati nel dipartimento di Tillia, regione di Tahoua, a “banditi armati”.

E usa parole feroci: «Prendendo sistematicamente le popolazioni civili come loro bersaglio, questi banditi armati superano una tappa ulteriore dell’orrore e della barbarie», ha denunciato il portavoce del governo Zakaria Abdourahamane, in una dichiarazione letta alla televisione nazionale. Insomma, “atti barbarici”, perpetrati da individui senza fede o legge.

La regione di Tillabéri, bersaglio di attacchi sanguinosi

La regione di Tahoua, vasta e desertica (il Niger ha una superficie tre volte l’Italia e composta in gran parte dal deserto del Sahara), si trova a est di quella di Tillabéri, ambedue prossime alla frontiera con il Mali. Parliamo della regione situata nella zona cosiddetta delle «tre frontiere», tra il Niger, il Mali e il Burkina Faso, regolarmente colpite da gruppi jihadisti affiliati ad al- Qaida o allo Stato islamico.

Il 15 marzo, presunti jihadisti vi avevano operato diversi attacchi contro veicoli che rientravano dall’importante mercato settimanale di Banibangou. Avevano preso come bersaglio anche un villaggio massacrandone gli abitanti e incendiando veicoli e granai di cereali. Bilancio: 66 morti. Quello stesso giorno, un attacco rivendicato dallo Stato islamico contro l’esercito maliano nella zona delle tre frontiere aveva provocato la morte di 33 soldati.

La regione di Tillabéri è a oggi il cuore dei più sanguinosi attacchi jihadisti perpetrati in questo paese saheliano. Il 2 gennaio, all’indomani del primo turno delle presidenziali, si erano contati 100 morti negli attacchi di due villaggi del comune di Mangaïzé.

Un anno prima, il 9 gennaio 2020, 89 soldati nigerini erano stati uccisi nell’attacco al campo militare Chinégodar. E un mese prima, il 10 dicembre 2019, erano stati 71 i soldati nigerini periti nell’attacco a Inates, un’altra località della regione di Tillabéri. Questi due attacchi contro l’esercito, che avevano traumatizzato il paese, erano stati rivendicati dai jihadisti dello Stato islamico.

Se la regione di Tahoua è prossima della zona delle tre frontiere, benché non ne faccia parte, è puntualmente attaccata dai jihadisti. L’ultimo conosciuto è quello del giugno dello scorso anno in cui almeno tre civili erano stati uccisi in una operazione contro un sito che accoglie rifugiati maliani a Intikane.

A questo punto, un discorso andrebbe fatto sulle milizie comunitarie o di autodifesa, costituitesi in seguito ad atti criminali, in cui la popolazione sperimentava un senso di abbandono da parte del governo centrale, e ai primi attacchi jihadisti. Contro di loro e contro la popolazione inerme, ma considerata complice, si scagliano ora le forze jihadiste, costituite in maggioranza da giovani.

La prova ne è che gli attacchi jihadisti contro la popolazione avvengono generalmente dopo che le forze dell’esercito regolare hanno lasciato i luoghi visitati. Su queste milizie continuano ad appoggiarsi i militari e le autorità governative. Ma proprio queste milizie sono ora le più esposte al pericolo. Con il rischio che la società civile diventi sempre più vulnerabile anche alla radicalizzazione etnica e religiosa.

Questo intensificarsi di attacchi nell’ovest del paese è certamente la sfida maggiore che deve affrontare il nuovo capo dello stato, Mohamed Bazoum – che succede a Mahamadou Issoufou -, la cui vittoria alle presidenziali è stata confermata il 21 marzo dalla Corte costituzionale.

Mohamed Bazoum si è impegnato a lottare contro l’insicurezza (senza la quale inutile immaginare anche una minima specie di… sviluppo), vera spina nel fianco di un paese tra i più poveri al mondo, e che nel sudest si trova ad affrontare anche i jihadisti del gruppo nigeriano Boko Haram.

Dopo il massacro del 15 marzo, l’esercito nigerino ha schierato dei rinforzi nella regione di Tillabéri. Un contingente di 1.200 soldati dell’esercito ciadiano, che ha la nomea di essere il più agguerrito della regione, è pure stato schierato nella zona delle tre frontiere, nel quadro del G5 Sahel, che riunisce Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad, paesi che dal 2017 tentano di cooperare nella lotta contro il terrorismo.

Come i vicini Mali e Burkina Faso, pure loro colpiti dagli attacchi di gruppi jihadisti, il Niger gode anche del sostegno dell’operazione francese Barkhane, che conta 5.100 uomini schierati nel Sahel. La Francia dispone di una base sull’aeroporto di Niamey, la capitale, da dove operano gli aerei da caccia e i droni armati.

Il presidente, così come la società civile francese, comincia a dubitare dell’efficacia dell’operazione (i francesi contano ormai decine di morti tra i loro militari). Ma ancora il mese scorso, Emmanuel Macron si è impegnato, a margine del vertice del G5 Sahel a N’Djamena, in Ciad, a mantenere gli effettivi di questa forza.

Rimaniamo comunque più che mai convinti che solo il coraggio del dialogo porrà un termine alla carneficina cui assistiamo impotenti e che finanzia una preoccupante corsa agli armamenti.

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