Niger: il nodo dei soldi destinati dall’UE all’esercito di Niamey
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La spaccatura in Europa su questo dossier preoccupa la CEDEAO
Niger: il nodo dei soldi destinati dall’UE all’esercito di Niamey
Nel luglio 2022 Bruxelles aveva stanziato 70 milioni di euro per sostenere le forze armate nigerine. Dopo il golpe dell’estate scorsa il finanziamento è stato però congelato. Francia e Germania vogliono interrompere i rapporti, mentre l’Italia punta al dialogo
03 Aprile 2024
Articolo di Rocco Bellantone
Tempo di lettura 3 minuti
(Credit: Unione Europea EP 2023)

Settanta milioni di euro. È la cifra stanziata nel luglio 2022 dall’Unione Europea per supportare l’esercito del Niger. Soldi che Bruxelles ha difficoltà a gestire da quando, a fine luglio 2023, a Niamey i militari guidati dal generale Abdourahamane Tchiani hanno deposto il presidente Mohamed Bazoum.

Subito dopo il colpo di stato il finanziamento, che era stato elargito al governo nigerino attraverso lo Strumento europeo per la pace (EPF), è stato congelato. Da allora il suo destino rimane una questione irrisolta, puntualmente aperta e messa da parte in occasione delle riunioni mensili del Comitato politico e di sicurezza dell’UE.

Alcuni degli stati membri dell’Unione di maggior peso hanno posizioni divergenti sull’argomento. Francia e Germania, ad esempio, spingono per ritirare i fondi e destinarli ad altri stati dell’Africa occidentale. L’Italia, invece, punta a mantenere un dialogo con Niamey e trovare un compromesso con la giunta militare al potere, l’autoproclamato Consiglio nazionale per la salvaguardia della patria.

Il governo italiano è in cerca di punti di contatto con i golpisti poiché teme che senza la loro collaborazione sarebbe ancora più complesso arginare alla fonte parte dei flussi migratori irregolari che proprio nel Niger trovano uno dei principali snodi di transito dal Sahel e dall’Africa subsahariana verso Libia e Algeria e, da qui, alla volta del Mediterraneo.

Dietro questa motivazione formale ve ne è però un’altra, come spiega Africa Intelligence. I 70 milioni di euro stanziati dall’UE per equipaggiare le forze armate nigerine sono infatti gestiti per conto dell’Unione dall’Agenzia Industrie Difesa (AID), ente controllato dal ministero della Difesa italiano.

L’AID non ha alcuna intenzione di perdere l’incarico, il primo di una certa rilevanza a differenza di Expertise France, che risponde all’Agenzia Francese per lo Sviluppo e che dal 2018 vanta di fatto una sorta di monopolio nella gestione dei fondi europei destinati ai paesi del Sahel.

In cima alla lista dei paesi dell’Africa occidentale che aspirano a ricevere i fondi congelati al Niger ci sarebbero Costa d’Avorio, Benin, Togo e Ghana. Si tratta però di stati con cui l’Italia non ha particolari legami.

La presenza politica e militare dell’Italia in Niger è invece più radicata. Qui dal 2018 sono di stanza militari italiani e negli ultimi anni, prima del golpe dell’estate scorsa, Roma ha coltivato rapporti diretti con diversi ufficiali delle forze armate locali.

L’Italia sta avendo una posizione analoga anche nei confronti di un’altra giunta militare che ha preso il potere nel Sahel, quella al governo dal 2022 in Burkina Faso.

Lo scorso ottobre il nostro paese, spalleggiato dalla Spagna, si è espresso a favore dello stanziamento di 5 milioni di euro, da elargire sempre attraverso l’EPF, per aiuti militari da destinare alla giunta che governa a Ouagadougou. Madrid continua inoltre a chiedere che non venga ritirata definitivamente la missione di addestramento europea in Mali EUTM (European Union Training Mission).

Berlino e soprattutto Parigi vogliono invece imporre la linea dura nei confronti dei governi militari attualmente insediati in Niger, Mali e Burkina Faso e sul punto più volte si sono trovati in disaccordo con l’inviato speciale dell’UE per il Sahel, l’ex viceministro degli Esteri italiano Emanuela Del Re.

La spaccatura in atto nell’UE su questo dossier preoccupa la Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (CEDEAO/ECOWAS) che a fronte della fuga in avanti dei governi golpisti del Sahel, riunitisi nel settembre scorso nell’AES (Alleanza degli Stati del Sahel) si sarebbero aspettati da Bruxelles un supporto convinto e unitario.

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