Sud Sudan: 11 anni di indipendenza ma senza pace - Nigrizia
Politica e Società Sud Sudan
Il 9 luglio 2011 la separazione dal Sudan
Sud Sudan: 11 anni di indipendenza ma senza pace
La nazione più giovane del continente resta in balia delle rapaci élite etniche e militari che l’hanno portata sull’orlo della bancarotta, nonostante le ricchezze petrolifere. Con il percorso di transizione verso nuove elezioni volutamente rallentato. Mentre più della metà della popolazione è alle prese con una grave insicurezza alimentare
11 Luglio 2022
Articolo di Giuseppe Cavallini
Tempo di lettura 4 minuti

Si è celebrato quasi in sordina, sabato 9 luglio, l’11° anniversario dell’indipendenza del Sud Sudan, la nazione più giovane dell’Africa. In quella data, nel 2011, il referendum sull’indipendenza aveva visto un sostegno del 98,83% dei votanti scegliere di formare un nuovo stato indipendente dal Sudan.

Il governo ha deciso tuttavia che non vengano organizzate grandi manifestazioni anche a causa della difficile congiuntura socio-economica che il paese sta attraversando. Le sfide che il Sud Sudan ha di fronte sono gravi e trovare una soluzione prima che si concluda il periodo di transizione per giungere ad elezioni, fissato per la fine di febbraio 2023, appare alquanto arduo.

Come auspicato dalla missione delle Nazioni Unite in Sud Sudan (Unmiss) negli auguri espressi in occasione dell’anniversario, i leader del governo vengono incoraggiati a raddoppiare gli sforzi per formulare una roadmap definendo con chiarezza tappe, priorità e tempi di attuazione. Dal canto suo l’Unmiss ribadisce la sua determinazione ad assicurare per i civili la necessaria sicurezza sociale, a facilitare l’accesso ad aiuti umanitari e a favorire il rientro nel paese delle famiglie rifugiate o sfollate.

Era il 9 luglio 2011, quando decine di migliaia di persone riunite a Juba, la nuova capitale del paese, avevano fatto esplodere in alte grida, canti e danze il proprio entusiasmo per la vittoria nel referendum che sanciva l’indipendenza. Dieci anni erano trascorsi in un conflitto tra nord e Sud Sudan che era costato la vita di milioni di persone, perché il Sud Sudan diventasse nazione indipendente.

Dopo solo due anni dall’indipendenza, tuttavia, si dissolse la speranza di stabilire condizioni di pace e di sviluppo, allorché i liberatori stessi del paese scatenarono un conflitto interetnico che affossò ogni sogno di prosperità e serena convivenza. Il presidente Salva Kiir, infatti, abolì l’intera compagine governativa, accusando il vicepresidente Riek Machar di aver pianificato un colpo di stato.

Precipitando il paese in un’ulteriore guerra civile durata altri cinque anni e non ancora del tutto conclusa. Oltre 400mila persone caddero vittime e si crearono oltre 4 milioni di sfollati, cioè un terzo della popolazione. Soltanto nel 2018 venne dichiarato un cessate il fuoco. E purtroppo, dopo questi 11 anni, non pare poter cessare l’incertezza e la violenza che mantengono tuttora in paese in stato di povertà e insicurezza.

Negli ultimi due anni, tra l’altro, oltre alla pandemia del Covid-19, il paese è entrato in una grave crisi economica, con un’inflazione sempre più grave e una serie di conflitti, siccità, inondazioni e invasioni di cavallette che nel 2021 hanno provocato la più grave crisi alimentare dal tempo dell’indipendenza, con una perdita di raccolti che ha lasciato il 60% dei 12 milioni di abitanti in condizioni di assoluta precarietà alimentare.  

In tale contesto è stata grande la delusione del governo e della gente dopo l’annuncio che papa Francesco, per motivi di salute, aveva dovuto posticipare il viaggio che dal 2 al 7 luglio l’avrebbe portato nella Rd Congo e poi in Sud Sudan. Una delusione espressa tra l’altro dalle donne sudsudanesi in una lettera per il papa consegnata al cardinale Pietro Parolin, segretario di stato Vaticano, inviato a Juba a rappresentare il papa, per comunicare loro la sua vicinanza e solidarietà.

Asserendo nella loro lettera che i conflitti tuttora aperti nel paese sono “politicamente motivati”, le donne denunciano la mancanza di una vera volontà politica da parte dei leader di giungere ad un autentico clima di pace. “I nostri cuori sanguinano”, scrivono tra l’altro le donne. “Abbiamo perduto figli, amici e colleghi, e abbiamo compiuto un lunghissimo viaggio rientrando nel nostro paese. Nel frattempo i nostri mariti combattevano e morivano in guerra”.

“La ricerca di potere che prosegue anche dopo l’accordo di pace rivitalizzato nel 2018 – proseguono – sta all’origine degli scontri interetnici, della povertà, della distruzione di infrastrutture e ha provocato il flusso di sfollati e rifugiati, incluse migliaia di donne e ragazze che si salvano così da rapimenti, vessazioni e violenze sessuali”.    

 

 

 

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