Energia: aperta in Africa la caccia al fossile - Nigrizia
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Aumenta la richiesta dell’Occidente
Energia: aperta in Africa la caccia al fossile
Nel settore meridionale e orientale del continente sempre più paesi si sono lanciati nello sfruttamento di nuovi giacimenti di petrolio, gas e carbone. Una politica in netto contrasto con l’urgenza planetaria di riduzione del ricorso a fonti di energia fossile
29 Settembre 2022
Articolo di Michela Trevisan
Tempo di lettura 4 minuti

L’appuntamento con la prossima Cop27, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (a Sharm el-Sheikh, in Egitto, dal 6 al 18 novembre), si avvicina. L’Africa evidenzia però atteggiamenti contrastanti.

Se da un lato, infatti, denuncia – e rivendica economicamente – il fatto di essere il continente più colpito dal cambiamento climatico, nonostante contribuisca per meno del 5% alle emissioni globali di gas serra, dall’altro è protagonista negli ultimi anni di una vera e propria corsa allo sfruttamento delle sue energie fossili, spinta anche dall’aumento della richiesta dell’Occidente in seguito al conflitto tra Russia e Ucraìna.

Una “caccia ai giacimenti” che guarda con sproporzionata attenzione al “business as usual” e molto meno alle conseguenze sul piano umano e ambientale.  

Molti i casi in Africa orientale e meridionale.

In Botswana, il presidente Mokgweetsi Masisi ha da poco ordinato alla Morupule Coal Mine (Mcm) di Palapye, di proprietà statale, di aprire una nuova miniera di carbone da 1,4 milioni di tonnellate all’anno, con l’obiettivo di raddoppiare la produzione (stimata attualmente a 212 miliardi di tonnellate) e aumentare le esportazioni. Anche su richiesta dell’Europa.

Un’altra miniera con una capacità annua di 1,2 milioni di tonnellate, era stata aperta nel 2019 dalla Minergy Ltd, che punta ad una produzione generale di 390 milioni di tonnellate di carbone all’anno.

Apriranno parzialmente nei prossimi giorni invece, gli impianti di sfruttamento del ricco giacimento di gas naturale offshore Coral Sul, nel Bacino di Rovuma, nel nord del Mozambico, colpito dalla violenza terrorista. Questo dopo che pochi giorni fa Maputo ha siglato con la vicina Tanzania un accordo di cooperazione energetica.

Tanzania che sta cercando di entrare a far parte del prestigioso club degli esportatori di gas naturale liquefatto, sbloccando i suoi circa 57 bilioni di metri cubi di riserve a partire dal 2023. Enormi riserve che resterebbero inutilizzate nel caso avvenga realmente una transizione energetica verso la decarbonizzazione a livello globale.

Punta su petrolio e gas anche lo Zimbabwe, ma a sfruttare i suoi giacimenti è una società australiana, la Invictus Energy Ltd, che il 23 settembre ha iniziato a perforare uno dei due pozzi di esplorazione nell’area Muzarabani-Mbire, nel nord del paese. Il pozzo Mukuyu 1, profondo 3 chilometri e mezzo, fa parte del progetto Cabora Bassa, che è per l’80% di proprietà e gestito da Invictus, attraverso la sua partecipazione in Geo Associates.

Quella di Mukuyu – costo stimato 16 milioni di dollari -, è considerata una delle più grandi prospettive di esplorazione di petrolio e gas a livello globale nel 2022.

Negli ultimi quattro anni Invictus ha cercato giacimenti di petrolio e gas nei bacini di Cabora Bassa e Zambesi, non senza contestazioni di ambientalisti e difensori dei diritti umani. Come per il gigantesco progetto minerario avviato tre anni fa nel Lower Zambesi National Park, in Zambia, uno dei luoghi naturalistici più importanti dell’Africa centro-meridionale.

Attivisti e comunità locali impegnati attivamente anche nel nord-est della Namibia, nella regione del Kavango, con un ricorso alle autorità giudiziarie per bloccare le nuove attività di ricerca di gas e petrolio della compagnia ReconAfrica.

Il colosso canadese, attivo già da oltre 10 anni nel paese, valuta che il bacino del fiume Okavango possa contenere intorno ai 1,4 miliardi di metri cubici di gas e 1 miliardo di barili di petrolio. Per questo ha già ottenuto da Namibia e Botswana licenze per l’esplorazione di 35mila chilometri quadrati nella Kavango Zambezi Transfrontier Conservation Area (Kaza), la più grande area di conservazione transfrontaliera del mondo.

All’inizio di settembre, i ricorsi alla magistratura avanzati da una rete di ambientalisti, scienziati e organizzazioni religiose, sono invece riusciti a fermare le operazioni di prospezione sismica che la multinazionale Shell stava conducendo in Sudafrica, al largo della Wild Coast, nella provincia del Capo orientale, una delle zone costiere più belle e incontaminate del paese.

E poi c’è il contestato progetto di realizzazione del mega oleodotto dell’Africa orientale (East African Crude Oil Pipeline – Eacop), che con i suoi 1.443 km collegherà l’Uganda all’oceano Indiano, in Tanzania, e i relativi progetti Tilenga e Kingfisher, che prevede la perforazione di 419 pozzi di estrazione e raffinazione di greggio nei dintorni del lago Alberto.

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