Tigray: Addis Abeba chiama, Mosca risponde - Nigrizia
Armi, Conflitti e Terrorismo Etiopia
Collaborazione militare rinsaldata tra Etiopia e Russia
Tigray: Addis Abeba chiama, Mosca risponde
Messo alle strette da Usa e Ue per le atrocità commesse dal suo esercito nel conflitto con i ribelli, il governo etiopico cerca una sponda nel Cremlino. Che non si è fatto pregare, mettendo a disposizione del premier Abiy Ahmed armi e addestratori
29 Novembre 2021
Articolo di Rocco Bellantone
Tempo di lettura 5 minuti
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Abiy Ahmed e Vladimir Putin

Il volo a Mosca a metà novembre dell’inviato speciale dell’Unione africana per il Corno d’Africa Olusegun Obasanjo non è passato inosservato. Nell’incontro avuto con alti funzionari del ministero degli esteri russo, l’ex presidente della Nigeria ha parlato del conflitto in corso in Etiopia, dove i ribelli delle Forze di difesa del Tigray (Tdf) si sono spinti fino a Debre Sina, nella regione Amhara, a meno di duecento chilometri da Addis Abeba.

Lo scoppio di combattimenti nella capitale non è da escludere, come dimostra la recente decisione dell’ambasciata francese di invitare tutti i connazionali a lasciare il paese, di istituire un’unità di crisi e chiudere il liceo internazionale Guebre-Mariam. Una decisione che ha fatto seguito a quelle, simili, di Usa, Canada, Turchia e Germania.

Prima di Mosca, Obasanjo era stato a New York a inizio novembre alla riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, sede in cui Russia e Cina hanno finalmente deciso di firmare una dichiarazione congiunta sul conflitto, chiedendo l’imposizione di un cessate il fuoco.

Un passo avanti atteso da mesi, considerato che dall’inizio degli scontri, nel novembre del 2020, i due paesi avevano optato per tenersi alla larga da questa crisi, ritenendola una questione di sicurezza interna nonostante il coinvolgimento – da subito a tutti evidente – di almeno una potenza esterna, ossia l’Eritrea.

Mosca e Pechino non intendono però accodarsi alla volontà di Washington, da un lato di infliggere delle sanzioni individuali a delle figure politiche e militari eritree coinvolte nel conflitto, dall’altro di sospendere l’Etiopia dall’African Growth and Opportunity Act (Agoa), accordo che permette ai paesi africani firmatari un accesso facilitato ai mercati statunitensi.

Insomma, nonostante gli sforzi di mediazione dell’inviato speciale dell’Unione africana, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite resta di fatto spaccato sull’argomento e la formulazione di una risoluzione rimane lontana.

Addis Abeba cerca l’aiuto di Mosca

Messo con le spalle al muro da Usa e Ue, il governo di Addis Abeba si sta adesso guardando intorno in cerca di supporter. Da Iran e Turchia avrebbe ricevuto droni armati per frenare l’avanzata dei ribelli del Tigray. Da Arabia Saudita ed Emirati ha incassato prestiti per non mandare in bancarotta il traballante assetto economico del paese. Mentre dalla Russia si attende quella copertura politica internazionale di cui necessita per non avere contro le Nazioni Unite.

In questa partita Mosca ha tutto da guadagnare, anzitutto sul fronte della cooperazione militare, una chiave che anche con l’Etiopia intende utilizzare per allargare la propria sfera di influenza nel continente africano. In questo settore, d’altronde, i rapporti tra i due paesi sono solidi già da tempo.

L’Etiopia acquista regolarmente armi dalla Russia, almeno fin dal tempo della guerra per la presa di Badme contro l’Eritrea, tra 1998 e 2000. Nel luglio scorso i due paesi hanno firmato un accordo in base al quale Mosca si è impegnata a fornire addestramento e tecnologie per rimettere in sesto il disastrato esercito etiopico.

Un’intesa immediatamente interpretata dall’Occidente come il preludio dell’imminente arrivo in Etiopia di mercenari del Gruppo Wagner, che in Africa sono già utilizzati dai servizi segreti russi in Repubblica Centrafricana, Sudan, Libia e, recentemente, anche in Mali.

La strategia diplomatico-militare della Russia in Africa

La strategia seguita fin qui da Mosca in Africa, e che presto potrebbe essere anche applicata in Etiopia, si sta rivelando efficiente. Una strategia che può essere così sintetizzata: il Cremlino offre sostegno militare a un governo in difficoltà e in cambio di questo intervento “salvifico” ottiene fondamentalmente due cose, da una parte strappa a buon mercato licenze per estrazioni minerarie ed energetiche e, dall’altra, gli viene riconosciuto un peso nell’orientamento delle politiche economiche e in determinate scelte diplomatiche di questi paesi.

È grazie a questo schema che, nel dicembre 2020, il governo russo si è assicurato una base navale a Port Sudan sul Mar Rosso; che minaccia il monopolio francese in Repubblica Centrafricana nell’estrazione di oro e diamanti; che gode di un affaccio militare sul Mediterraneo dopo aver sposato la causa del generale della Cirenaica Khalifa Haftar, oggi candidato presidenziale alle prossime elezioni libiche.

Ed è sempre questo lo schema che Mosca sta usando in Mozambico, dove nella provincia di Cabo Delgado è in corso una lotta sempre più serrata per il controllo dei ricchi giacimenti di gas; in Mali, dove sarebbero ormai in procinto di arrivare mille mercenari del Gruppo Wagner; e ancora in Guinea, Congo, Rwanda, Angola, Botswana, Lesotho, Zimbabwe e Madagascar.

La difficile mediazione sulla Gerd

Se sul piano militare Mosca non ha dunque difficoltà a sostenere Addis Abeba, ben più complicato si sta rivelando fornirle supporto nelle annose controversie con l’Egitto e il Sudan sui lavori per la costruzione della Grande diga della rinascita etiopica (Grand Ethiopian Reneissance Dam – Gerd). Anche in questa partita Mosca gioca a riempire i vuoti lasciati dall’Occidente.

Dopo che gli Usa hanno spostato i loro favori verso l’Egitto, in segno di ritorsione per la pulizia etnica operata dall’esercito etiopico nel Tigray, e dopo che l’Ue ha ritirato i propri osservatori elettorali per la stretta sugli oppositori esercitata in vista del voto del luglio scorso che ha riconfermato il premier Abiy Ahmed, Addis Abeba si è rivolta ancora una volta al Cremlino.

Che però nelle trattative per la diga sul Nilo Azzurro deve fare i conti con un partner scomodo come l’Egitto di al-Sisi. Irritarlo è un rischio che anche una potenza arrembante come Mosca non può affatto permettersi.

Su questo fronte la Russia pertanto, per il momento, continuerà a sostenere l’impegno dell’Unione africana nel limare le distanze tra le tre parti in causa, riservando per quanto possibile un occhio di riguardo ad Addis Abeba. Che è un interlocutore scelto, proprio in questa fase, non a caso. È qui infatti, nell’ottobre del 2022, che si terrà il prossimo vertice Russia-Africa.

 

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