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L'aria che tira / Aprile 2024
Nucleare: le ambizioni russe in Africa
Non solo Sudafrica ed Egitto, dove Mosca sta costruendo una centrale da 29 miliardi di dollari. Nel mirino altri 12 paesi
10 Aprile 2024
Articolo di Gianni Silvestrini, direttore scientifico di Kyoto Club
Tempo di lettura 1 minuti

Questo articolo è uscito nel numero di Nigrizia di aprile 2024.

Parlando di energia in Africa si pensa alla metà della popolazione ancora senza energia elettrica, alle esportazioni di petrolio e gas, al solare e all’eolico che stentano a decollare. Ma c’è una tecnologia sorretta da potenti interessi economici e strategici, in particolare della Russia, che fa capolino ed è quella nucleare. La capacità di Mosca […]
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AFRICA Cinema Politica e Società
Tre i film in concorso fra i lungometraggi, mentre i corti provengono tutti dal continente
Cinema: l’Africa si racconta al Fescaal di Milano
Fra i temi la riscoperta dell'appartenenza e la salute mentale, questione delicata e in genere poco affrontata
29 Aprile 2024
Articolo di Anna Jannello
Tempo di lettura 6 minuti
Un'immagine dal film Demba, del regista senegalese Mamadou Dia

Per la 33esima edizione del Festival del cinema Africano, d’Asia e America Latina, la zebra prismatica – dal 2016 simbolo della manifestazione – si moltiplica per tre come i tre continenti che vengono raccontati, attraverso le voci di registe e registi, nei 42 film selezionati nelle diverse sezioni (di 29 pellicole è possibile anche la visione in streaming su MYmovies).

E siccome “three is perfection” come recita il claim di quest’anno, il 33esimo festival inizia a Milano venerdì 3 maggio con la proiezione, al cinema Godard della Fondazione Prada, di Fremont del regista iraniano Babak Jalali, interpretato da una giovane rifugiata afghana Anaita Wali Zada e dalla star hollywoodiana Jeremy Allen White.
Alla fine di ogni proiezione i registi ospiti del festival (le direttrici Annamaria Gallone e Alessandra Speciale hanno segnalato la difficoltà di ottenere i visti soprattutto per i registi africani ) discuteranno con il pubblico, così pure sarà possibile un incontro più ravvicinato all’Ora del tè, classico appuntamento del pomeriggio al bar Il Girevole del San Fedele, sala “storica” nel centro di Milano che, sabato 11 maggio, come tutti gli anni ospiterà la premiazione Il film di chiusura, domenica 12 maggio alla cineteca Arlecchino, è Les Meutes del marocchino Kamal Lazraq, l’avventura “tutta in una notte” di un padre e figlio, piccoli criminali nel mondo brutale della periferia di Casablanca (uscirà in Italia con il titolo Noir Casablanca).

Africa Talks, l’approfondimento a cura del Coe e Fondazione Edu, è dedicato quest’anno all’industria culturale e creativa in Africa con un focus sulle arti visive. Alla tavola rotonda, martedì 7 maggio all’Arlecchino, partecipano quattro ospiti dal continente e dalla diaspora per discutere l’evoluzione e la spinta creativa nelle arti visive dell’Africa contemporanea.
A seguire, la proiezione di Over the Bridge del regista nigeriano Tolu Ajayi: ambientato nel quartiere degli affari della Lagos moderna, racconta la crisi di un affermato manager dinnanzi alle pressioni di una società sempre più corrotta e spietata.

Una panoramica dei film africani nelle varie sezioni

Al concorso lungometraggi “Finestre sul mondo” – in palio c’è il premio da 8mila euro del comune di Milano – partecipano tre film africani. Disco Afrika: une histoire malgache, opera prima di Luck Razanajaona, racconta il risveglio della coscienza politica di un ragazzo del Madagascar che sulle tracce del padre, musicista e rivoluzionario, scomparso durante una manifestazione negli anni 70, riflette sulla sua condizione e sulle ingiustizie del suo paese scoprendo anche in lui il desiderio di lottare. Mambar Pierrette della camerunese Rosine Mbakam, presentato a Cannes 2023, è il ritratto tra documentario e fiction di una sarta (la cugina della regista, che mette in scena sé stessa) che nel suo piccolo atelier nella periferia di Douala diventa la confidente dei clienti e affronta da sola mille avversità. In Demba il regista senegalese Mamadou Dia affronta il tema della salute mentale, considerato quasi un tabù nella cinematografia africana sub-sahariana.

La sezione cortometraggi è, come sempre, interamente dedicata al continente africano: sono in concorso dieci brevi fiction e documentari realizzati da giovani registi provenienti da tutta l’Africa e dalla diaspora con l’obiettivo di mostrare nuove tendenze e sperimentazioni. Tra i selezionati ci sono, in prima italiana, i lavori di tre giovani registi inglesi afrodiscendenti: Pray, dello scrittore Caleb Azumah Nelson al suo debutto nella regia, indaga il valore della fratellanza e della comunità dinnanzi al dolore di una perdita; in Muna la regista Warda Mohamed racconta il ritrovato senso di appartenenza alla propria cultura di una giovane di origine somala; nella commedia Festival of Slaps del regista Abdou Cissé, gli schiaffi di una madre nigeriana innescano una riflessione umoristica sugli stereotipi culturali e sulla comunicazione fra generazioni.

Sempre in anteprima italiana: Love, Your Neighbour di Jethro Westraad ironizza sui sistemi di sicurezza dei quartieri residenziali di Durban, Sudafrica, che rinchiudono i residenti in un perenne lockdown; dal Kenya arriva invece Stero, divertente omaggio al potere dell’immaginazione infantile di Tevin Kimathi e Millan Tarus, dove un bambino cerca di sfidare le regole repressive della sua scuola grazie all’aiuto di un immaginario maestro di arti marziali; il regista franco-algerino Azedine Kasri presenta The Kiss, storia di due giovani innamorati algerini che, non essendo sposati, devono affrontare una vera e propria corsa a ostacoli per scambiarsi il primo bacio. L’egiziano Morad Mostafa, porta per la terza volta al Fescaaal un suo corto, I Promise You Paradise: un giovanissimo migrante africano in Egitto in seguito a violenti scontri è costretto a vagare per Il Cairo insieme alla compagna e alla bimba appena nata per salvarle dalla miseria e raggiungere il “paradiso”.

Tre le registe donne: la senegalese Awa Moctar Gueye presenta Dusk , ambientato alla periferia di Dakar è un racconto tenero, dall’atmosfera fiabesca, sulla questione di genere e l’affermazione di una leadership al femminile; Fatima Kaci, sceneggiatrice e regista francese di origini tunisine, in La voix des autres descrive la storia di Rim, una interprete tunisina che lavora in Francia nelle procedure dei richiedenti asilo e vorrebbe aiutarli anche contravvenendo alle regole della sua professione; Elen Sylla Grollimnud, fotografa, videomaker e regista d’animazione, nel documentario autobiografico Villa Madjo riflette sui temi del meticciato e sul concetto di identità partendo dall’osservazione che suo padre, bianco, è nato in Africa, e che sua madre, nera, è nata in Europa.

Italia multiculturale 

Il concorso Extr’a è dedicato ai film di registi italiani (o stranieri residenti in Italia): i 13 film selezionati, senza distinzione di genere o durata, hanno come soggetto le tematiche dell’Italia multiculturale. Parlano del legame dei protagonisti con l’Africa: Casablanca, di Adriano Valerio (in collaborazione con Institut Français) racconta l’immigrazione attraverso la storia d’amore tra Fouad, clandestino marocchino che vive da anni in Umbria, e Daniela, ex tossicodipendente dell’alta borghesia pugliese; Lonely di Michele Pennetta (in collaborazione con Consolato Svizzero) delicato docu-fiction descrive l’amicizia e l’amore condiviso per la musica di due adolescenti, lei nigeriana e lui italiano, in una provincia del Nord Italia; The Meatseller, film d’animazione di Margherita Giusti, prodotto da Luca Guadagnino e vincitore di un David di Donatello 2024, la storia vera di Selinna Ajamikoko, giovane ragazza nigeriana che vuole diventare una macellaia come sua madre e s’ imbarca in un lungo pericoloso viaggio verso l’Italia; in Maieti, cortometraggio di Matteo Boscolo Gioachina, Miriam è una ragazza di 17 anni, egiziana di seconda generazione che vive con la madre e le sorelline a Milano e tenta di evadere dalle responsabilità verso la famiglia cercando rifugio nel gruppo di amici.

Infine Eldorado di Mathieu Volpe sul difficile viaggio di un giovane africano per passare il confine nelle Alpi fra Italia e Francia e The strong Man of Bureng, odissea di un ex soldato Onu del Gambia che avvia con successo un’attività in Europa ma resta bloccato in Africa durante l’epidemia di Covid-19.

Il programma di ogni giorno https://www.fescaaal.org/programma/.

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Armi, Conflitti e Terrorismo Nigeria Politica e Società
Ora la popolazione locale si sente ancora più insicura, in tanti hanno lasciato le loro case
Nigeria: ennesima imboscata, l’esercito lascia lo stato federale del Niger
26 Aprile 2024
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 3 minuti

Nonostante le proteste della popolazione locale, le forze armate della Nigeria si sono ritirate da dallo stato federale del Niger, situato nell’ovest del paese, a seguito della morte di sei soldati nell’ennesima imboscata di “banditi” locali. La decisione dell’esercito è stata resa nota dalla stampa locale e poi confermata ai giornalisti anche da Bello Abdullahi, commissario per la sicurezza interna del Niger.

I militari nigeriani hanno deciso di lasciare la zona a causa delle continue perdite che si registrano sul campo. Ultimo episodio in ordine di tempo, la scorsa settimana, quando due ufficiali e quattro soldati sono stati uccisi nella comunità di Allawa, nell’area di Shiroro.

Dopo il ritiro dei soldati centinaia di residenti, tra cui donne, bambini e anziani, hanno lasciato le loro case per dirigersi verso località ritenute più sicure, tra le quali Erena, Gwada, Kuta e Zumba, temendo per la propria incolumità. Molta gente, scioccata nel vedere i soldati smantellare le loro tende e andarsene, ha chiesto al governo dello stato federale del Niger di intervenire rapidamente per prevenire altri attacchi da parte dei banditi.

Attacchi continui 

Secondo le ricostruzioni della stampa nigeriana, i soldati si sono ritirati due giorno dopo che un veicolo delle forze armate nigeriane è esploso a causa di una mina collocata lungo l’autostrada Allawa-Pandogari. Nella deflagrazione diversi militari hanno perso la vita mentre altri sono rimasti feriti.

L’incidente si è verificato meno di una settimana dopo che due ufficiali, quattro soldati, un guardiano e un cacciatore avevano perso la vita in un’altra imboscata, stavolta durante un attacco di uomini armati contro le località di Roro, Karaga e Rumace. «Abbiamo lasciato gran parte delle nostre cose perché non potevamo trasportarle, i mezzi di trasporto sono infatti pochissimi – hanno detto alcuni sfollati a causa dei combattimenti nella regione-. D’altro lato non possiamo restare inerti e essere uccisi dai banditi o dai jihadisti di Boko Haram».

In effetti, il ritiro del personale militare rischia di rendere gli abitanti della zona molto più vulnerabili alle violenze. Nell’ultimo anno, secondo le stime, non meno di 30 ufficiali e soldati hanno perso la vita in attacchi da parte di banditi e terroristi nello stato di Niger, che si estende da ovest della capitale Abuja fino al confine col Benin e fino a non lontano dalla frontiera con lo stato sovrano omonimo, con cui non è da confondere.

Voci governative hanno giustificato lo smantellamento affermando che questo si svolge nell’ambito di accordi volti a riconfigurare la presenza dell’esercito nazionale nella regione. Il quotidiano nigeriano Push ha tenato di mettersi in contatto con il maggiore generale Edward Buba, il portavoce delle operazioni di difesa, finora senza successo.

Il termine “banditi”, traduzione dell’inglese bandits, è usato da alcuni anni dalle autorità e dalla stampa nigeriana per riferirsi a gruppi di uomini armati che commettono rapimenti a scopo di riscatto, razzie nei villaggi e attacchi contro le forze armate. Questi gruppi, attivi in tutto il paese ma per l più negli stati settentrionali, non hanno in realtà una posizione politica o religiosa riconoscibile anche se a volte vengono associati a milizie riconducibili a organizzazioni jihadiste locali come lo Stato Islamico della provincia dell’Africa occidentale (Iswap) e il gruppo noto come Boko Haram. 

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Podcast Politica e Società
L'analisi di Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano solidarietà rifugiati
Africa Oggi podcast / Ecco perchè è fuorilegge il piano Rwanda approvato in Regno Unito
26 Aprile 2024
Articolo di Luca Delponte
Tempo di lettura 1 minuti
Sunak e Kagame si incontrano a Londra. Foto dal profilo Flickr di Kagame

All’indomani del sì del Parlamento britannico al piano Sunak di ricollocazione dei migranti “irregolari” in Rwanda, in questa intervista Gianfranco Schiavone, studioso di migrazione internazionale, presidente del Consorzio italiano solidarietà rifugiati ed ex vice presidente Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), spiega perché il provvedimento è irricevibile sul piano internazionale e avverte: «La Gran Bretagna rischia di collocarsi tra i paesi che calpestano i diritti umani».

 

 

 

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AFRICA Migrazioni Pace e Diritti Politica e Società Unione Europea
Respinte un terzo delle richieste dal continente. È la regione con la maggior percentuale di dinieghi in assoluto
Sui visti di ingresso l’Europa gira le spalle all’Africa
Bloccati anche scienziati, accademici, artisti. Si parla di “pregiudizio predeterminato” nei confronti dei cittadini africani
26 Aprile 2024
Articolo di Antonella Sinopoli
Tempo di lettura 6 minuti
Il muro al confine fra il Marocco e l'exclave spagnola di Melilla. Foto dal profilo Flickr di Ángel Gutiérrez Rubio

Circa un terzo delle domande di visti per l’area Schengen europea presentate da cittadini africani vengono respinte. Si tratta del tasso di rifiuto più alto di qualsiasi regione al mondo. È quanto risulta (e diremmo che si tratti di una conferma) dal recente report di Henley & Partners, società di consulenza sull’immigrazione. Nel 2022 l’Africa era in cima alla lista dei respinti con il 30%, vale a dire una su tre, di tutte le domande esaminate, tasso superiore – come risulta dall’analisi – almeno del 10% rispetto alla media globale. E questo nonostante il continente abbia presentato il minor numero di domande di visto pro capite.

A fare le spese di questo “pregiudizio predeterminato”, come è stato definito, non sono soltanto i singoli individui perché ad essere in gioco sono relazioni commerciali, scambi accademici, opportunità di crescita. E se gli Stati europei hanno citato principalmente «ragionevoli dubbi sull’intenzione dei richiedenti il visto di tornare a casa» nei loro respingimenti, i ricercatori sostengono che il sistema europeo dei visti «dimostra chiaramente un’apparente parzialità nei confronti dei richiedenti africani».

Fatto sta che l’accesso limitato ai paesi ricchi e gli alti tassi di rifiuto del visto, fanno sì che gli africani siano stati esclusi da numerose opportunità non solo nel campo degli studi, per esempio, ma anche nel commercio multinazionale, nel fare rete ed esplorare iniziative imprenditoriali internazionali. «Gli imprenditori e gli investitori africani vengono spesso esclusi dai lucrosi mercati globali, ostacolando il loro potenziale di crescita economica e prosperità finanziaria», osserva il rapporto. Le domande di visto Schengen risultano diminuite a livello globale: da 16,7 milioni nel 2014 a 7,6 milioni nel 2022, con un calo di quasi 9 milioni di domande equivalete al 54,7%. Per quanto riguarda l’Africa, nello stesso periodo, il numero assoluto di domande per l’Europa è diminuito da 2,22 milioni nel 2014 a 2,05 milioni nel 2022, con un calo pari al 7,7%.

Quasi il doppio della media globale 

Ma, contemporaneamente, è salito il tasso di rifiuto del visto. A livello globale è pari al 12,5%. In Africa, come dicevamo, ha raggiunto invece il 30%, quasi il doppio della media globale, ed era il 18% nel 2014. Circa tre richiedenti di visto Schengen africani su dieci sono stati respinti, rispetto a uno su dieci a livello mondiale. Il continente – nel 2022 – rappresenta sette dei primi 10 paesi con il più alto tasso di rifiuto del visto europeo: Algeria (45,8%), Guinea-Bissau (45,2%), Nigeria (45,1%), Ghana (43,6%), Senegal (41,6%), Guinea (40,6%) e Mali (39,9%). Al contrario, solo un richiedente su venticinque residente negli Stati Uniti, in Canada o nel Regno Unito è stato respinto, e uno su dieci dalla Russia. Risulta, dunque, che gli algerini si trovano ad affrontare un tasso di rifiuto dieci volte superiore a quello dei candidati canadesi, mentre i ghanesi hanno quattro volte più probabilità di essere respinti rispetto ai russi. I nigeriani devono affrontare un tasso di rifiuto rispetto ai richiedenti in Turchia quasi tre volte superiore e doppio rispetto a quello iraniano. Ma ci sono delle eccezioni: le Seychelles e Mauritius, che insieme a 61 paesi dell’America Latina e dell’Asia sono esenti dall’obbligo del visto Schengen. Alcuni paesi africani come il Sudafrica, il Botswana e la Namibia devono affrontare un tasso di rifiuto relativamente basso, inferiore al 7%. Sono eccezioni che hanno il loro significato: parliamo di paesi ad alto reddito e, per esempio, per quanto riguarda le Seychelles e Mauritius, inserite nella lista dei cosiddetti paradisi fiscali.

Non è un caso che l’accesso ai visti Schengen corrisponda al potere economico e del passaporto del paese di cittadinanza del richiedente. Più povero è il paese di nazionalità, maggiore è il tasso di rifiuto. Molti paesi africani hanno un basso reddito nazionale lordo pro capite e si collocano anche in basso nell’indice Henley Passport, quello che misura il numero di destinazioni in cui un titolare di passaporto può entrare senza visto. Più si sta in basso nella lista meno possibilità si hanno di viaggiare in Europa con un visto regolare. Paradossalmente, dunque, i passaporti spesso ostacolano anziché facilitare la mobilità degli africani. Tra l’altro le richieste di visto, siano esse presentate per motivi di lavoro, studio o turismo, sono soggette a processi di richiesta lunghi e macchinosi. I rifiuti sono molto costosi per i richiedenti, in particolare per le tariffe non rimborsabili, ma anche per il trasporto per raggiungere le Ambasciate e altre spese. E poi va considerata tutta la rabbia, la delusione, la frustrazione che questi rifiuti alimentano.

La denuncia di Owusu-Gyamfi

Soprattutto quando sembrano più che mai ingiusti e ingiustificati. È il caso di tanti artisti, giornalisti, relatori, accademici, scienziati che, nonostante il loro curriculum e la regolare documentazione, si sono visti negare il visto. Uno degli ultimi casi da manuale è quello di Sandra Owusu-Gyamfi, dottoranda presso l’Università del Ghana, che ha affidato a un intervento, pubblicato su Nature e ampiamente diffuso, la frustrazione per non aver potuto partecipare a una conferenza sulla biodiversità a Lisbona. Conferenza alla quale era stata invitata. «Demoralizzata, imbarazzata e insultata», questi i sentimenti della studiosa, sentimenti condivisi da moltissimi altri colleghi che si sono trovati nella stessa situazione. Secondo un’inchiesta del 2018 condotta dall’organizzazione di ricerca RAND – cita la biologa – i ricercatori africani e asiatici hanno maggiori probabilità di avere problemi legati ai visti per visite a breve termine.

E un’analisi del 2023 della Royal Society di Londra ha mostrato che nel 2022, dei 30 territori per i quali il Regno Unito ha rifiutato più spesso i visti turistici, 22 erano in Africa. Tutte occasioni perse, non solo per chi ha ricevuto il rifiuto, ma anche per i paesi che non hanno permesso lo scambio di studi, intuizioni, soluzioni provenienti da altre parti del mondo. Ma torniamo al report. Gli analisti fanno notare che la sola possibilità di soggiorno illegale (addotta dai funzionari dei consolati) non può spiegare i tassi di rifiuto significativamente più alti tra i richiedenti africani. «Non ci sono prove – si afferma – che suggeriscano che un tasso di rigetto più elevato porti a una diminuzione della migrazione irregolare o dei soggiorni oltre il visto». Sebbene fattori come il reddito, l’economia nazionale, la credibilità del ritorno e la forza del passaporto rappresentino parzialmente i tassi di rifiuto del visto, questi elementi non offrono una spiegazione esaustiva delle disparità con altre regioni. «La validità del passaporto e i livelli di reddito da soli non possono giustificare pienamente le variazioni nei tassi di rifiuto per i richiedenti africani, come evidenziato dai tassi di rifiuto comparativamente più bassi per paesi come India e Turchia».

Insomma, come a ribadire che le motivazioni del rifiuto sembrano essere di altra natura: quel pregiudizio di fondo che andrebbe affrontato senza ipocrisie. L’Unione Europea – suggeriscono gli autori del report – deve affrontare le attuali pratiche discriminatorie nell’ambito del processo di richiesta del visto e lavorare per promuovere giuste e pari opportunità per percorsi legali di mobilità tra Africa ed Europa. Oltretutto, farlo vorrebbe dire per l’Europa impegnarsi a rafforzare le relazioni commerciali e i partenariati tra i due continenti a vantaggio di entrambi.

 

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