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Verso Arena 2024 / 3 Ecologia integrale e nuovi stili di vita
Il futuro è oggi. Si vince o si perde tutti insieme
Il tempo che viviamo è il tempo della cura. Dobbiamo mobilitarci facendo la nostra parte per la salvaguardia del Creato. La passività è l’atteggiamento più sbagliato
19 Aprile 2024
Articolo di Federico Sartori e Marta Bobbio
Tempo di lettura 1 minuti
Arena 2024 - Gruppo di lavoro sul tema ecologia integrale e nuovi stili di vita

Questo articolo è uscito nella sezione “Africa 54” della rivista Nigrizia di aprile 2024.

Cosa c’entra il termine pace con il concetto di ecologia integrale e nuovi stili di vita? Questa è una delle 5 sfide che il percorso Arena di pace ha lanciato pochi mesi fa e su cui ci siamo soffermati nei tavoli di lavoro: accanto a questa, gli ideatori di Arena24 hanno chiesto di declinare la […]
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Armi, Conflitti e Terrorismo Politica e Società Sudan
Sono necessari per sostenere gli abitanti del paese prostrato da oltre un anno di conflitto
Conflitto in Sudan: appello umanitario delle agenzie cattoliche, servono 2,7 miliardi
Caritas Internationalis e Catholic Agency for Overseas Development (Cafod) in prima linea nella consegna di cibo
30 Aprile 2024
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 3 minuti
Un campo profughi in Nord Darfur. Foto da United Nations Photo

Le agenzie cattoliche, insieme ad altri enti di beneficenza cristiani in Sudan, hanno intensificato la loro campagna di distribuzione di cibo in tutto il paese per salvare centinaia di migliaia di sudanesi sofferenti dalla fame estrema mentre la guerra civile entra nel suo secondo anno. Secondo i dati delle Nazioni Unite, il conflitto, scoppiato nell’aprile 2023, ha costretto in un anno oltre 8,6 milioni di persone ad abbandonare le proprie case, tra cui 1,8 milioni di rifugiati.

L’organizzazione riferisce inoltre che oltre 14.000 persone sono state uccise nelle ostilità e che metà della popolazione del Sudan ha bisogno di assistenza salvavita. La Caritas Internationalis, una famiglia di 162 agenzie nazionali cattoliche di soccorso e sviluppo che lavorano in tutto il mondo, e diverse altre organizzazioni umanitarie cattoliche tra cui la Catholic Agency for Overseas Development (Cafod) britannica, hanno denunciato la gravità estrema della situazione del paese, dove donne e bambini stanno letteralmente morendo di fame.

L’appello 

Nel loro appello le organizzazioni hanno chiesto un sostegno da 2,7 miliardi di dollari. La situazione in Sudan, secondo le agenzie di aiuto umanitario, è in costante peggioramento anche perché la maggior parte delle famiglie – sia quelle che ancora vivono nelle loro case sia di quelle presenti nei campi per sfollati interni -, temono di avventurarsi fuori per procurarsi il cibo a causa dell’assoluta assenza di sicurezza. «Chiediamo urgentemente un maggiore sostegno umanitario internazionale per mitigare l’enormità della sofferenza della popolazione», hanno dichiarato i funzionari della Caritas nella nel primo anniversario della guerra sudanese.

La mancanza di sufficienti finanziamenti da parte della comunità internazionale, secondo la Caritas, ha impedito alle organizzazioni laiche e religiose che lavorano nel paese di raggiungere gran parte delle persone che soffrono la fame ma anche il diffondersi di epidemie, come quella di colera che si registra nel paese. «Chiediamo pertanto un impegno internazionale molto più assertivo e coordinato nella ricerca di un maggiore accesso umanitario – ha concluso la Caritas -, compresa la facilitazione delle operazioni transfrontaliere dal Ciad e dal Sud Sudan, e ricerca seria di soluzioni diplomatiche per raggiungere un cessate il fuoco urgente e la fine di un conflitto che ha ora creato la più grande crisi alimentare del mondo nel 2024».

Papa Francesco, peraltro, ha auspicato in varie occasioni la fine immediata della violenza in Sudan, affermando che i combattimenti in corso stanno peggiorando la situazione umanitaria nel Paese. «Purtroppo la situazione in Sudan resta grave e quindi rinnovo il mio appello affinché si ponga fine quanto prima alle violenze e si ritorni sulla via del dialogo», ha affermato il pontefice lo scorso 23 aprile, dopo la preghiera domenicale del “Regina Coeli”.

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Guinea-Bissau Politica e Società
Partono da Freedom Flotilla, le autorità del paese africano ne hanno bloccato un'imbarcazione carica di aiuti e diretta verso Gaza
Accuse contro la Guinea-Bissau: «Complice del genocidio di Israele»
Rimosse le bandiere di registrazioni a due navi
29 Aprile 2024
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 4 minuti
Il presidente guineano Embalò in Benin. Foto dal profilo Flickr della presidenza del Benin.

La Guinea-Bissau ha deciso di «rendersi complice dello sterminio per fame, l’assedio illegale e il genocidio che Israele sta commettendo contro i palestinesi a Gaza». L’accusa è partita dalla coalizione di ong a sostengo del popolo palestinese Freedom Flotilla a seguito della decisione della autorità guineane di bloccare una delle navi degli attivisti carica di migliaia di tonnellate di aiuti diretti verso la striscia, teatro da mesi di una violenta offensiva dell’esercito israeliano che ha causato la morte di oltre 42mila persone e praticamente sfollato la totalità della popolazione.

L’ente per la registrazione internazionale delle navi di Bissau, una compagnia privata che agisce su delega dello stato guineano, ha infatti rimosso la sua bandiera di registrazione da due navi della ong, fra le quali la più grande, la Akdenez, dopo un’ispezione, impedendole così di poter prendere il mare. L’intervento delle autorità guineane è avvenuto nel porto della Turchia dove erano ormeggiate le imbarcazioni nell’attesa di salpare verso la Palestina. La Akdenez era già stata caricata con circa 5mila tonnellate di beni salvavita e di prima necessità, sostiene sempre Freedom Flotilla. 

Gli attivisti, in una conferenza stampa a Istanbul, hanno inoltre lamentato una serie di stranezze e di irregolarità nei controlli effettuati dall’ente guineano. Innanzitutto è necessaria una premessa: Freedom Flotilla è costituita da un insieme di diverse organizzazioni – di cui la principale è la turca Turkish Humanitarian Relief Foundation (Ihh) – e nessuna di questa è di base in Guinea-Bissau. Issare una bandiera diversa da quella dell’effettivo paese di provenienza è pratica comune nella navigazione anche se molto malvista, visto che spesso gli armatori scelgono uno Stato diverso nel tentativo di godere di legislazioni più lasche e di controlli meno rigidi. La Guinea-Bissau comunque, non è inserita nella lista deli paesi fornitori di queste “bandiere di comodo” stilata dall’ International Transport Workers’ Federation (Itf), sindacato globale dei lavoratori del settore.

Tornando alla denuncia del gruppo di ong, la coalizione afferma che i controlli effettuati dagli ufficiali guineani sono «molto insoliti», visto che le imbarcazioni oggetto dei provvedimenti erano già state sottoposte «a tutte le ispezioni previste». Secondo quanto riportato dagli attivisti, Bissau avrebbe fatto esplicito riferimento alle attività di sostengo a Gaza dell’organizzazione nel momento di notificargli la decisione del blocco. In aggiunta, l’ente del paese africano «h inoltre presentato numerose richieste non comuni di informazioni, tra cui la conferma della destinazione delle navi, eventuali ulteriori scali portuali, il porto di scarico degli aiuti umanitari e le date e gli orari di arrivo stimati. Richiedeva inoltre una lettera formale che approvasse esplicitamente il trasporto degli aiuti umanitari e un inventario completo del carico».

Quali rapporti fra Bissau e Tel Aviv?

Da qui, l’accusa politica al governo del presidente Umaro Sissoco Embaló, che secondo gli attivisti si sarebbe reso complice dei crimini commessi da Tel Aviv e del suo reiterato impegno a non lasciare che gli aiuti umanitari vengano consegnati alla popolazione civile nonostante quanto ordinato da risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e da due ordini della Corte di giustizia dell’Onu di base a l’Aia. I giornali israeliani, dal canto loro, sostengono che l’invio di aiuti da parte di Freedom Flotilla non sia approvato da Tel Aviv.

Per adesso, la Guinea-Bissau non ha risposto alle accuse che le sono state rivolte dalla ong. Embaló si è recato in Israele lo scorso marzo. Nell’accoglierlo, l’omologo di Tel Aviv Isaac Herzog lo ha definito «un vero amico di Israele», ricordando inoltre gli studi del presidente nel paese mediorientale. Herzog ha anche sottolineato il sostegno guineano nel contesto dell’Unione Africana, dove da due anni prosegue un acceso dibattito sul ruolo come osservatore di Tel Aviv, concesso nuovamente nel 2021 dopo anni di sospensione ma oggetto di forte contrasto da alcuni stati membri.
In quell’occasione Embalo, che è alle prese anche con una crisi istituzionale interna al paese, si era definito un «messaggero di pace». La Guinea-Bissau ha votato a favore di un cessate il fuoco immediato a Gaza in Assemblea generale all’Onu.

 

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Chiesa e Missione Congo (Rep. dem.) Pace e Diritti Politica e Società
Il cardinale Fridolin Ambongo accusato di «incitamento delle popolazioni alla rivolta e attentati contro vite umane»
Rd Congo: indagato il vescovo di Kinshasa, le opposizioni non ci stanno
Katumbi: «Colpita la voce degli ultimi». Per Fayulu è «goccia che fa traboccare il vaso»
29 Aprile 2024
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 3 minuti
Il cardinal Fridolin Ambongo durante una celebrazione a Parigi con l'arcivescovo emerito Michel Aupetit e il vescovo Theodore Mascarenhas

In Repubblica democratica del Congo le opposizioni politiche si schierano dalla parte dell’arcivescovo di Kinshasa, Fridolin Ambongo. Il religioso è stato messo sotto indagine dalla magistratura locale per alcune sue dichiarazioni ritenute sediziose, solo pochi giorni dopo aver lanciato un duro monito contro il governo del presidente Felix Tshisekedi durante la messa pasquale. Il religioso aveva già criticato l’operato del governo pochi giorno prima in un’intervista rilasciata ad Agenzia Fides. Sia durante la funzione che parlando con i cronisti il cardinale Ambongo aveva denunciato l’incapacità di esercito e governo nel far fronte al conflitto in corso nel nord-est della Rd Congo. La regione, ricca di riserve di minerali essenziali per la transizione energetica, come il coltan, è epicentro delle attività di decine di milizie armate e teatro delle ingerenze di diversi governi vicini. Kinshasa, ma anche attori della comunità internazionale e più volte lo stesso Ambongo, hanno accusato il Rwanda di essere presente militarmente nel paese e di finanziare e sostenere l’M23, una milizia che da mesi porta avanti un’offensiva nella provincia del Nord Kivu. 

Tornando alle procedure giudiziarie a carico del vescovo Ambongo, il procuratore generale della Corte di cassazione congolese Firmin M’Vonde ha ordinato a uno dei procuratori di Kinshasa di aprire un fascicolo giudiziario contro l’arcivescovo, accusandolo di affermazioni sediziose che costituiscono «false voci, incitamento delle popolazioni alla rivolta e attentati contro vite umane».

Il procuratore aveva emesso un mandato di comparizione al presule già lo scorso 22 aprile. Il cardinale, a detta dell’esponente della magistratura, avrebbe in quell’occasione «rifiutato l’invito». L’arcidiocesi, da parte sua, ha risposto che questo ordine non è mai arrivato né ai suoi servizi né al cardinale. In ogni caso ora l’arcivescovo potrebbe essere citato in giudizio. Monsignor Fridolin, membro del Consiglio ristretto di papa Francesco, durante la messa di Pasqua, aveva sottolineato la negativa prestazione del governo di Félix Tshisekedi, criticando soprattutto la cattiva gestione finanziaria e la grave crisi di sicurezza.

Frasi che «attaccano le coscienze»

«La giustizia è il primo potere che si fa beffe dei diritti dei cittadini comuni – aveva dichiarato il cardinale – e qui stiamo facendo discorsi come se fossimo forti. La realtà è che il Congo non ha un esercito efficiente». Per il pubblico ministero le uscite del cardinale «attaccano deliberatamente le coscienze». Nella sua lettera di istruzioni, il procuratore generale M’Vonde avverte tra l’altro il magistrato incaricato del caso che rimanendo passivo incorrerebbe in una accusa di e sarebbe pure passibile di procedimento giudiziario.

L’azione intrapresa nei confronti del vescovo è stata subito oggetto di pesanti critiche. A partire da Moise Katumbi e Martin Fayulu, i due volti più rappresentativi delle opposizioni, rispettivamente il secondo e il terzo candidato a ottenere più voti alle elezioni dello scorso dicembre, vinte da Tshisekedi ma segnate da accuse di irregolarità e brogli. «Questo cardinale e arcivescovo – ha denunciato Katumbi riferendosi a monsignor Ambongo – porta solo la voce degli uomini e delle donne congolesi che sopportano incessantemente atroci sofferenze. La giustizia congolese tenta quindi di mettere a tacere questa voce degli afflitti, dei poveri, delle vittime dell’ingiustizia, delle guerre e della cattiva gestione della cosa pubblica», ha chiosato il politico. 

Le indagini a carico del prelato «sono la goccia che fa traboccare il caso» secondo Fayulu. «Il regime» di Tshisekedi, ha aggiunto il politico, sta prendendo una deriva «incontrollata e pericolosa» per il paese.

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Armi, Conflitti e Terrorismo Burkina Faso
Accuse rispedite al mittente. Ouagadougou respinge l’indagine di Human Rights Watch sul massacro del 25 febbraio, il peggiore degli ultimi dieci anni, costato la vita a circa 200 persone. E sospende 7 gruppi media, tra cui BBC e Voice of America per aver diffuso la pubblicazione del report di HRW il 25 aprile
Burkina Faso – il governo in scontro frontale con HRW
29 Aprile 2024
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 2 minuti
Uno scorcio di Sahel (immagine d'illustrazione)

Sabato scorso, il Ministro della Comunicazione burkinabé Rimtalba Jean Emmanuel Ouedraogo ha commentato duramente il report di Human Rights Watch (Hrw) pubblicato il 25 aprile, sul massacro avvenuto esattamente due mesi prima nel nord del Burkina Faso. L’organizzazione internazionale sostiene che l’esercito regolare e i Volontari di difesa per la patria (Vdp) siano i responsabili dell’uccisione di 179 persone nel villaggio di Soro e di altre 44 a Nondin, nella provincia di Yatenga. Tra le vittime si conterebbero almeno 56 bambini. L’eccidio avrebbe preso la forma di una rappresaglia contro i civili accusati di collaborazionismo con le forze legate al terrorismo di matrice islamica. HRW lo ha definito «uno dei peggiori abusi dell’esercito» nel paese degli ultimi dieci anni. 

Ouedraogo ha dichiarato che «mentre un’inchiesta è in corso per stabilire i fatti e identificare gli autori, HRW è stata capace, con immaginazione sconfinata, di identificare i colpevoli e pronunciare il suo verdetto», al fine – ha aggiunto il ministro – di «gettare discredito sulle nostre forze combattenti». In reazione alla pubblicazione della notizia del report di HRW, già la settimana scorsa le autorità burkinabé avevano sospeso per due settimane la licenza di trasmissione accordata a BBC, Voice of America, TV 5 Monde ed altri quattro gruppi mediatici.

Non è la prima volta che organizzazioni internazionali per la protezione dei diritti civili e umani puntano il dito contro le autorità militari locali. HRW e Amnesty International hanno pubblicato varie inchieste riguardo a stragi di civili compiuti in Burkina con dinamiche simili negli ultimi due anni, da quando la giunta militare di Ibrahim Traoré ha fatto della sconfitta del terrorismo la sua prioritù numero uno. 

Dal 2015, il Burkina Faso è alle prese con una lotta al jihadismo che ha portato a migliaia di vittime (7,000 solo nel 2023) e 2 milioni di rifugiati interni. Lo stesso governo burkinabé ha dichiarato a inizio anno che circa il 40% del territorio nazionale è controllato da gruppi terroristici. L’insofferenza per lo stato di insicurezza diffusa è stata una delle scintille che ha causato il rovesciamento golpista del regime presidenziale di Roch Marc Kaboré nel 2022.

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