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Politica e Società Uganda
L’appello di Museveni per il censimento della popolazione e delle abitazioni boicottato per “mancanza di fondi”
Uganda: le emittenti private rifiutano di trasmettere gratis il messaggio del presidente
10 Maggio 2024
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 2 minuti
Yoweri Museveni

In Uganda è iniziato il sesto censimento nazionale della popolazione e delle abitazioni, condotto per la prima volta con l’utilizzo di sistemi digitali.

La vigilia è stata però segnata dall’inusuale presa di posizione delle stazioni televisive e radiofoniche private, sostenute dall’Associazione delle emittenti ugandesi, che si sono rifiutate di mandare in onda un videomessaggio del presidente Yoweri Museveni che invitava i cittadini a partecipare alla campagna, in programma dal 10 al 19 maggio.

Contravvenendo a una direttiva emanata dalla Commissione governativa per le comunicazioni (UCC) che invitava tutte le emittenti di dare gratuitamente al censimento la “massima pubblicità”, le emittenti private hanno fatto notare come, in assenza di finanziamenti pubblici e con scarsi mezzi di sostentamento, siano incapaci di ottemperare alla richiesta.

Replicando all’UCC il presidente della National Association of Broadcasters (NAB), Innocent Nahabwe, ha dichiarato che le emittenti private hanno sempre fornito copertura gratuita durante le emergenze nazionali, ma che il governo ha il dovere di finanziare eventi pre-programmati come il censimento.

«I media operano come entità commerciali, pagando licenze e tasse al governo e sostenendo anche altri costi, come gli stipendi del personale», ha puntualizzato Nahabwe. Ed è «sulla base di queste considerazioni che abbiamo rifiutato di seguire la direttiva emessa dall’UCC».

L’ultimo censimento, risalente al 2014, stimava la popolazione ugandese a 36 milioni. Le stime odierne suggeriscono che da allora il numero sia salito a circa 45 milioni.

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Arena di Pace 2024 Chiesa e Missione Pace e Diritti
L’assemblea di Verona
Arena di pace, epicentro del cambiamento
Il 17 e 18 maggio l’anfiteatro della città scaligera ospiterà l’incontro di Papa Francesco con i movimenti popolari, che hanno aderito a centinaia. Il dialogo col Santo Padre vuole essere il primo passo di un processo di trasformazione della società, assediata da guerra e individualismo
17 Maggio 2024
Articolo di Brando Ricci
Tempo di lettura 8 minuti
L’Arena di pace del 1991 volle rileggere la cosiddetta “conquista” dell’America da parte dei popoli oppressi (Credit: Nigrizia)

Questo articolo è uscito nella sezione “Chiesa è missione” della rivista Nigrizia di maggio 2024.

Presidio di pace e resistenza nel mondo della “terza guerra mondiale a pezzi”, che non ha bisogno di compattarsi in un fronte unico e riconoscibile per mietere già milioni di vittime e seminare disperazione; luogo di approdo e punto di partenza di un processo condiviso da centinaia di associazioni della società civile italiana; e poi il precipitato di una lunga tradizione italiana e cattolica di nonviolenza e di un movimento verso le periferie fisiche e sociali iscritto nel Dna del pontificato di Papa Francesco.

Si rimane quasi sopraffatti, a scrivere quanto traiettorie di lotte e mobilitazione confluiranno a Verona il 17 e il 18 maggio, in occasione dell’Arena di pace 2024, l’incontro dei movimenti popolari con Papa Francesco.   

L’iniziativa si iscrive nella tradizione dei grandi momenti assembleari della società civile italiana lanciati nel 1986 nella città scaligera su impulso dei padri del Triveneto, autori del manifesto Beati i costruttori di pace che darà poi nome al movimento che animerà le manifestazioni fino alla prima metà degli anni ’90.

L’edizione di quest’anno è unica: per la prima volta nella storia delle Arene, a Verona verrà il Santo padre, che nell’anfiteatro di età romana dialogherà con i rappresentanti della società civile. La presenza del Papa è stata comunicata alcuni mesi dopo l’inizio del processo di organizzazione dell’assemblea, che è cominciato lo scorso giugno su iniziativa di alcune riviste cattoliche – Nigrizia, Missione oggi, Mosaico di pace, Aggiornamenti sociali e Avvenire – e della Diocesi di Verona.

A oggi le realtà che hanno aderito alla grande iniziativa sono circa 200, da Sant’Egidio a Mediterranea saving humans passando per Banca Popolare Etica e Fridays for Future; i delegati della società civile previsti a Verona sono non meno di 400. Le associazioni e le organizzazioni sono state invitate a partecipare dal vescovo di Verona Domenico Pompili, che in una lettera ha esortato i vari soggetti dei movimenti popolari a «confrontarsi e fare liberamente rete» all’insegna dell’«etica della progettazione» elaborata da Papa Francesco e nell’ottica di declinare quello che è il tema di tutta l’iniziativa, racchiuso nel salmo 85 del profeta Isaia, “giustizia e pace si baceranno”.

Questo stesso tema si articola a partire da cinque ambiti principali, cinque spazi di riflessione e di azione: migrazione; ecologia integrale e stili di vita; lavoro, economia e finanza; diritti e democrazia; disarmo. Dibatti su questi cinque argomenti proseguono da settimane in altrettanti tavoli di lavoro a cui stanno partecipando le realtà partecipanti, ognuna secondo il proprio campo di competenza. L’ultimo momento di confronto di questo processo segnerà l’inizio della due giorni di maggio a Verona: le associazioni si incontreranno alla Fiera della città scaligera il 17 maggio per fare il punto su quanto emerso e per scrivere un documento di sintesi. Sarà poi questa, la grammatica del dialogo con il Papa in Arena il giorno dopo.  

Ad arricchire il cammino ci saranno cinque ambasciatori di caratura internazionale, uno per ogni tavolo: per le migrazioni, l’economista e attivista brasiliano João Pedro Stedile, esponente del Movimento sem Terra; per ecologia integrale e stili di vita, l’ambientalista ugandese Vanessa Nakate; per diritti e democrazia Mahbouba Seraj, giornalista e attivista femminista afghana già candidata al premio Nobel per la pace; per il disarmo, il presidente della Comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi; per lavoro, economia e finanza, Ken Loach, regista e storica voce della classe operaia britannica.

Esperienze e punti di vista che daranno sostanza alla concezione sistemica e olistica della pace che informa tutta l’iniziativa, declinabile appunto solo in tanti ambiti del nostro esistere sulla terra e centrata su una dimensione che trascende il mero “silenzio delle armi”. Fratello Antonio Soffientini, missionario comboniano fra i promotori e organizzatori dell’iniziativa, sottolinea l’elemento di apertura che segna questa edizione dell’Arena, con la sua aspirazione ad «ampliare la partecipazione quanto più possibile» e a fare un punto sul contributo delle varie realtà con l’assemblea del 17. Ovviamente, prosegue il religioso, una vita in America Latina, fra Colombia e Brasile, «la manifestazione di quest’anno assume poi un rilievo particolare grazie alla visita del Papa».

La politica del Papa

La decisione del Santo Padre di partecipare è tutto fuorchè casuale o contingente, ma rappresenta anzi il naturale sbocco di uno degli elementi che caratterizzano il suo Pontificato e più in generale la sua visione della dimensione sociale della Chiesa. Già da vescovo di Buenos Aires, l’allora cardinale Giuseppe Bergoglio organizzava ogni anno una messa “per una patria senza schiavi né esclusi”. Quella era l’occasione per incontrare rappresentanti delle realtà più emarginate della grande capitale argentina, dagli abitanti delle villas – il nome argentino della bidonville – ai lavoratori informali meno tutelati. Il principio alla base di questi momenti era la volontà di portare le periferie, gli spazi di esclusione sociale, al centro dell’azione della Chiesa.

Una volta asceso al soglio di Roma, il Papa ha impresso una direzione concreta a questa traiettoria ideale. I movimenti popolari sono stati infatti invitati in Vaticano la prima volta nel 2014, un anno dopo l’inizio del Pontificato. Da quel momento è nato un processo di dialogo costante, a partire da tre elementi principali: tetto, casa, lavoro (Terra, Domus, Labor nella versione originale latina e poi Tierra, Techo, trabajo nella declinazione spagnola che si è diffusa nel mondo): tre diritti inalienabili che diventano parole chiave e orizzonti di lotta per chi ne è escluso. Gli incontri popolari sono stati in tutto cinque: due a Roma, appunto nel 2014 e poi nel 2016, uno in Bolivia nel 2015 e uno, online nel pieno della pandemia di Covid-19, nel 2021.

Questo cammino approda in Arena e si unisce al percorso delle iniziative veronesi, per anni uno dei momenti di confronto più rilevanti delle varie anime del pacifismo e della nonviolenza italiana, cattolico e laico. Dal 1986 al 1993, i Beati costruttori di pace hanno convocato sei grandi incontri in Arena. Le assemblee hanno intersecato alcuni grandi temi loro contemporanei, dal sostegno ai dissidenti sudafricani durante il regime di apartheid, nel 1987, all’appello per un cessate il fuoco durante la prima guerra del Golfo, nel 1991. A Verona si sono recati in quegli anni alcune grandi figure del’attivismo mondiale, come la leader nativa guatemalteca Rigoberta Menchù, che nel 1991.

La dirigente campesina, un anno prima di ricevere il premio Nobel per la pace, prese parte all’Arena che volle rileggere la storia della “conquista” dell’America da parte dei popoli oppressi. Dopo la fase organizzata dai Beati, sono state convocate altre due Arene: una nel 2003, indetta dal coordinamento Pace da tutti i balconi! – decine di associazioni nazionali e centinaia del territorio veneto – per protestare contro la seconda guerra del Golfo. Nel 2014, invece, in occasione della Festa di liberazione del 25 aprile e su impulso del missionario comboniano padre Alex Zanotelli, già figura chiave delle assemblee degli anni ’80 e ’90, l’Arena fu teatro di un appello  per il disarmo. Dalla giornata in anfiteatro nacque la campagna per la nascita di un dipartimento della difesa civile “non armata e nonviolenta”.

Qui e ora

Anche il percorso di avvicinamento all’assemblea di quest’anno sta attraversando numerosi fronti di mobilitazione. Molti dei movimenti che si riuniranno a Verona stanno partecipando attivamente a campagne per un cessate il fuoco fra Ucraina e Russia e a Gaza e a difesa della legge 185/90 che regola l’esportazione di armi italiane, cui sostanziale modifiche in senso limitativo sono ora in discussione in Parlamento.

Una fotografia sul cammino di avvicinamento e sulla sua rilevanza la fornisce Giuseppe De Marzo, coordinatore della Rete dei numeri pari, un insieme di oltre 400 associazioni e organizzazioni sociali e di base impegnate contro disuguaglianze, povertà e mafie che sarà presente in Arena. «Per noi è un’occasione straordinaria. Siamo davanti a un bivio, per il mondo e anche per l’Italia nello specifico», mette in chiaro De Marzo, economista ecologico, attivista e scrittore. Il nostro paese infatti, prosegue, «risente della complessa situazione globale e al contempo conosce una crisi forse unica in Europa. Sono aumentate le disuguaglianze, il tasso di dispersione scolastica è fra i più alti del continente, i numeri della povertà sono triplicati e a oggi sei milioni di persone vivono in una condizione di povertà assoluta». Papa Francesco quindi, con la sua partecipazione all’Arena, fornisce ai movimenti popolari «un’opportunità per stare insieme, condividere le agende sociali e lottare insieme per aiutare il paese a uscire dalla crisi in cui è sprofondato. E per rimettere al centro le relazioni inseparabili di cui siamo parte».

Non è un caso che il punto di confluenza di tutti queste esperienze sia Verona. Ne è convinto don Renzo Beghini, presidente di Fondazione Toniolo, centro culturale e di formazione della Diocesi di Verona, fra le realtà promotrici di Arena. La città scaligera, spiega, «è crocevia economico e geopolitico di due assi: est-ovest e nord-sud: è per questo che la città è un importante snodo per la logistica europea. Da questo patrimonio geografico deriva anche la sua sensibilità politica e spirituale particolare». Ne è prova ulteriore, secondo il religioso, «la presenza di una grande tradizione di volontariato, caratterizzata da grande professionalità e competenze».

Caratteristiche utili, ragiona ancora don Beghini, per «diventare il punto di partenza di una narrazione diversa da quella dominante, iper polarizzata e improntata all’individualismo». Il presidente conclude: «In Arena ci saranno tante associazioni che portano con loro un’idea di società nuova e che si sporcano le mani ogni giorno: è questo patrimonio, concettuale e di azioni, che ci dà la prospettiva».

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Ambiente Economia Politica e Società
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La strategia della multinazionale / La politica degli agri-hub
Eni fa un buco nell’olio
Come biocarburante, Eni scommette in Kenya e Congo sulla coltivazione del ricino, presentata come resistente alla siccità e adatta alla coltivazione su terreni di scarsa qualità. È un flop. Scarsa la produzione e misere le paghe agli agricoltori locali che si vedono pure
17 Maggio 2024
Articolo di Luca Manes (Re: Common)
Tempo di lettura 1 minuti
Semi di ricino (Credit: Transport & Environment)

Questo articolo è uscito nella sezione “Africa 54” della rivista Nigrizia di maggio 2024.

È stato esplicitamente menzionato dalla presidente del consiglio Giorgia Meloni nei (pochi) progetti alla base del Piano Mattei. Sarà realizzato in Kenya ed è «dedicato allo sviluppo della filiera dei biocarburanti». Se ne sta già “occupando” Eni, il colosso energetico italiano. Ma non tutto starebbe andando come previsto. E lo si intuisce leggendo il rapporto […]
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Ambiente Economia Pace e Diritti
Il business dei crediti di carbonio ancora sotto accusa
Kenya: la Northern Rangeland Trust e il controverso progetto NKRCP
Dopo il caso delle comunità ogiek nella foresta Mau, un altro progetto per il commercio dei crediti di carbonio è contestato dalle popolazioni locali che lamentano la perdita di sovranità su vasti territori consegnati alla gestione di compagnie straniere
16 Maggio 2024
Articolo di Bruna Sironi (da Nairobi)
Tempo di lettura 6 minuti

Alcune settimane fa la pagina degli affari del Daily Nation, il quotidiano più diffuso del Kenya, ha pubblicato un articolo sui crediti di carbonio dal titolo eccitante: Pastoralists earn Sh1.7bn from carbon credits in three years (Pastori nomadi guadagnano 1,7 miliardi di scellini (12,6 milioni di dollari, ndr) in 3 anni per i crediti di carbonio).

È il risultato vantato dalla Northern Rangelands Trust (NRT), organizzazione che si presenta come una rete di 45 riserve naturalistiche comunitarie – poste in gran maggioranza nel nord del Kenya, con una recente espansione in Uganda – il cui obiettivo dichiarato è proteggere l’ambiente e la fauna selvatica attivando le comunità locali. Interessante notare che tra i clienti del progetto si trovano Meta Platforms, Netflix e la banca inglese NatWest.

L’operato della NRT è stato analizzato già alla fine del 2021 in un rapporto dell’Oakland Institute – Stealth game. “Community” conservancies devastate land & lives in northern Kenya (Partita segreta. Le riserve “comunitarie” devastano terra e vite nel Kenya settentrionale) in cui si sostiene che le riserve gestite dalla NRT sono in realtà territori privatizzati a scopi turistici a scapito dei diritti della popolazione locale che viene di fatto privata dell’uso della propria terra ancestrale. Nel documento le testimonianze sono innumerevoli.

Il progetto NKRCP

Tra i numerosi progetti della Northern Rangeland Trust, uno riguarda il business dei crediti di carbonio. È il Northern Kenya Rangelands Carbon Project (NKRCP), descritto dai titolari come il più importante del genere al mondo, che si propone “di rimuovere dall’atmosfera 50 milioni di tonnellate di CO2 nell’arco di 30 anni – l’equivalente dell’emissione annuale di 10 milioni di macchine – e di generare centinaia di migliaia di dollari per le comunità locali”.

Lo “strumento” usato per intrappolare l’anidride carbonica è il terreno di 14 riserve comunitarie che si estende per 1,9 milioni di ettari. Di fatto si tratta del terreno di pascolo di 14 comunità di pastori che vivono di allevamento brado, in genere comunità di popoli nativi come i maasai e altri meno noti.

Per poter aumentare la quantità di anidride carbonica bloccata nel terreno (che ne bloccherebbe di suo naturalmente), il progetto prevede di cambiare le abitudini di pascolo, introducendo una rotazione per permettere una riabilitazione del terreno e una crescita più abbondante dell’erba.

Nella pagina web del progetto si legge che le attività e i risultati sono stati analizzati da Verra, una delle compagnie che verificano gli standard dei crediti di carbonio offerti sul mercato, e ha ricevuto la garanzia di conformità, il Verified Carbon Standard (VCS), nel 2020.  

Nello stesso anno è stato anche premiato con il Triple Gold Status dalla Climate, Community and Biodiversity Alliance (CCBA). Un altro premio al progetto è stato assegnato a COP27, nel 2022. Poi la cronologia si ferma, e ne possiamo presumere il motivo.

Il progetto è stato indagato in una ricerca di Survival International, organizzazione che si occupa dei diritti dei popoli nativi, pubblicata nel marzo del 2023 e di cui anche Nigrizia ha diffuso i risultati.

Il titolo – This people have sold our air (Questa gente ha venduto la nostra aria) – chiarisce la percezione che le comunità interessate hanno del progetto, mentre il sottotitolo spiega la metodologia di attuazione – Blood carbon: how a carbon offset scheme makes millions from indigenous land in northern Kenya (Carbonio insanguinato: come uno schema per crediti di carbonio produce milioni (di dollari, nrd) dalla terra delle popolazioni indigene nel Kenya settentrionale).

Dopo la diffusione del rapporto, la stessa Verra ha sospeso il certificato di conformità in attesa di accertamenti che probabilmente non sono ancora finiti, dal momento che sulla pagina web ufficiale non se ne fa menzione.

Le voci delle comunità locali

La metodologia di attuazione delle attività previste potrebbe però non essere cambiata, almeno a giudicare da un recente articolo di Semafor Africa, un sito indipendente di notizie dal continente africano. Il titolo Communities in Kenya fight carbon project that sold credits to Meta, Netflix ne mette in evidenza il rifiuto da parte delle comunità interessate che affermano di averne avuto scompaginata la vita e precluso l’accesso alla terra ancestrale.

L’articolo riporta le considerazioni di attivisti locali sulle ragioni delle comunità. Una riguarda la terra: “La recinteranno e ci diranno che sconfiniamo… Abbiamo i nostri modi tradizionali di allevare e pascolare il bestiame. È necessario che rispettino il sapere indigeno”.

Altri riguardano il mancato coinvolgimento della popolazione nelle decisioni riguardanti il progetto e l’informazione preventiva sui suoi scopi. La NRT afferma però di avere lettere di consenso adeguatamente firmate. Il problema è sapere da chi, perché e come quelle firme sono state ottenute. 

Nessuna delle testimonianze riportate cita i benefici economici del progetto. Ognuna delle comunità interessate avrebbe ricevuto 324mila dollari per due anni consecutivi, il 2022 e 2023. Una montagna di soldi nelle zone rurali del Kenya, in particolare per le popolazioni pastorali indigene, le più povere ed emarginate del paese. Sarebbe interessante sapere chi e per che cosa ne ha deciso l’uso.

Se non si lavora sulla partecipazione della popolazione, dice l’autore dell’articolo, questo genere di progetti possono essere più dannosi che utili. Tutti i progetti, per la verità, ma in particolare quelli che toccano l’uso della terra, i mezzi di sussistenza e i saperi tradizionali.

Business pericoloso

Altre considerazioni, in un certo senso anche più preoccupanti, vengono accennate nell’articolo. Amos Wemanya, esperto di Power Shift Africa, autorevole organizzazione ambientalista africana, parla di possibili conflitti per l’uso della terra dovuti alla corsa alla capitalizzazione dei crediti di carbonio.

Per quanto riguarda il Kenya, l’articolo cita il caso degli ogiek, abitanti della foresta Mau, nella Rift Valley, che affermano di essere minacciati di espulsione per il disegno governativo di usare quel territorio per i crediti di carbonio.

Wemanya accenna anche alla possibile perdita di sovranità su vasti territori consegnati alla gestione di compagnie straniere che commerciano in crediti di carbonio.

I paesi africani, conclude, che stanno gestendo crisi climatiche sempre più devastanti in minima parte provocate dalle proprie emissioni, dovrebbero invece pretendere fondi a dono dai paesi e dalle compagnie che più inquinano l’atmosfera piuttosto che impegnare il proprio territorio per uno scambio sul mercato finanziario che può essere molto rischioso.

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Arena di Pace 2024 Chiesa e Missione Pace e Diritti Podcast
Il pontefice protagonista dell'Arena di Pace del 18 maggio a Verona
Africa Oggi podcast / Le risposte sulla pace di papa Francesco
16 Maggio 2024
Articolo di Luca Delponte
Tempo di lettura 1 minuti
Papa Francesco alla Giornata mondiale per la pace 2022
  • Il Santo Padre ospite d’eccezione a Verona per l’Arena di Pace che torna dopo 10 anni dall’ultima edizione.
    Sempre più messa in crisi, la diplomazia deve farsi strada tra strumentalizzazioni e narrazioni che escludono ogni opzione di dialogo.
    “Si spende molto più per la morte che per la vita e lo scandalo è che lo si trova normale”, racconta in questo podcast il vescovo di Verona, Mons. Domenico Pompili.
    Mentre, per don Renato Sacco di Pax Christi, il vero nemico di chi promuove la guerra talvolta diventa anche chi prova a mediare.

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