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Rapporto Sipri
Spese militari senza freni. In due paesi africani la crescita percentuale maggiore
Nel 2023 si è raggiunto il massimo storico a livello globale con 2.443 miliardi di dollari (+6,8% rispetto al 2022). La spesa pro-capite è arrivata a 306 dollari, la più alta dal 1990. Stati Uniti e Cina rappresentano la metà del valore globale. I primati di Rd Congo e Sud Sudan. L’Algeria ha superato i 18 miliardi di dollari
22 Aprile 2024
Articolo di Gianni Ballarini
Tempo di lettura 5 minuti
Esercitazione dei Marine Raider statunitensi in Arizona (Credit: U.S. Marine Corps photo by Cpl. Cody Rowe)

Il terrore degli incendi che divampano ovunque è diventato una sorta di passe partout che ci fa accettare ogni fenomeno nefasto. La crescita globale delle spese militari è uno di questi. Aumento che annichilisce gli ostinati della diplomazia che a questo punto abbassano le mani. Arresi.

L’ultimo rapporto del Sipri (Stockholm International Peace Research Institute) è la conferma che ormai quasi più nessuno si affretta a spegnere gli incendi, come se armarsi e spendere miliardi per la difesa avessero imboccato la strada di un processo irreversibile. 

Nono anno di crescita

Nel 2023 la spesa militare mondiale è aumentata per il nono anno consecutivo, raggiungendo un totale di 2.443 miliardi di dollari. L’aumento reale (cioè depurato dall’inflazione) è stato del 6,8% ed è il più consistente su base annua dal 2009. Mai, nei 60 anni di storia del Sipri, si era raggiunto un livello così alto.

La spesa militare globale ha rappresentato, nel 2023, il 2,3% del Pil mondiale. La spesa pro-capite è arrivata a 306 dollari, la più alta dal 1990.

Secondo il Sipri, e non solo lui, l’aumento può essere attribuito principalmente alla guerra in corso in Ucraìna e all’escalation delle tensioni geopolitiche in Asia, Oceania e Medioriente.

Tutte e 5 le regioni geografiche (Africa, Europa, Medioriente, Asia, Oceania e Americhe) hanno registrato un aumento.

I primati

I due paesi ad aver speso di più sono stati gli Usa e la Cina, che rappresentano, rispettivamente, il 37 e il 12% della quota complessiva – metà della spesa globale – con aumenti del 2,3 e del 6%. Washington ha toccato l’apice con 916 miliardi di dollari; la spesa cinese è stata stimata in 296 miliardi di dollari.

Gli altri 3 paesi della cinquina che primeggia nella classifica Sipri sono Russia, India e Arabia Saudita.

Le sorprese Rd Congo e Sud Sudan

L’Africa è cresciuta del 2,1% con una spesa di 51,6 miliardi di dollari.

L’area subsahariana vanta un primato: i paesi con l’aumento in percentuale più rilevante al mondo. E sono l’Rd Congo e il Sud Sudan.

Kinshasa ha il primato assoluto con una spesa più che raddoppiata nel 2023 (+105%), raggiungendo i 794 milioni di dollari. Crescita legata alle continue tensioni con il Rwanda, all’impennata degli scontri con gruppi armati non statali e alla decisione del governo di rafforzare le forze armate dopo il ritiro anticipato di una missione di pace su larga scala delle Nazioni Unite.

Il Sud Sudan ha registrato il secondo più alto aumento percentuale globale: la spesa è aumentata del 78%, raggiungendo gli 1,1 miliardi di dollari. Già nel 2022 c’era stato un incremento del 108%. Una crescita che può essere attribuita all’escalation di violenza interna e alle sfide di sicurezza dovute alla guerra civile scoppiata nel vicino Sudan.

I soldi investiti nella difesa sono sottratti a un bilancio anoressico che probabilmente non consentirà a Giuba di convocare le elezioni a fine anno.

La spesa nell’Africa subsahariana ha raggiunto i 23,1 miliardi di dollari nel 2023, con un aumento dell’8,9%, ma con un calo del 22% rispetto al 2014. L’aumento può essere attribuito, oltre ai casi di Rd Congo e Sud Sudan, all’incremento del 20% da parte della Nigeria, il principale finanziatore militare della subregione. La sua spesa è stata di 3,2 miliardi di dollari. Anche Abuja si trova ad affrontare numerose sfide alla sicurezza.

Il boom algerino

Nel Nordafrica, la spesa militare è stata di 28,5 miliardi di dollari, con un aumento del 38% rispetto al 2022 e del 41% rispetto al 2014. L’Algeria e il Marocco sono di gran lunga i paesi regionali più coinvolti. Insieme rappresentano l’82% dell’ammontare complessivo. Anche se è Algeri a vantare i numeri più significativi: una crescita del 76% con una spesa totale di 18,3 miliardi di dollari. Si tratta del livello più alto mai registrato dall’Algeria e del maggiore incremento annuale dal 1974. Crescita favorita da un cospicuo incremento delle entrate derivante dalle esportazioni di gas verso i paesi europei, costretti a rivolgersi al paese nordafricano dopo il blocco dell’importazione dalla Russia.

La spesa militare del Marocco è invece diminuita per il secondo anno consecutivo scendendo del 2,5%, a 5,2 miliardi di dollari.

La guerra russo-ucraìno

Dopo Usa e Cina, si classifica al terzo posto nella classifica generale la Russia. La guerra in Ucraìna, ovviamente, ha contribuito alla crescita del 24%, per un valore stimato di 109 miliardi di dollari. Una crescita del 57% rispetto al 2014, quando Mosca assunse il controllo della Crimea. Con una spesa pari al 5,9% del Pil, equivalente al 16% della spesa totale del governo russo, il 2023 ha segnato i livelli più alti registrati dalla dissoluzione dell’Unione sovietica.

Allo stesso tempo è esplosa anche la spesa di Kiev, aumentata del 51% a 64,8 miliardi di dollari, pari al 37% del Pil. Un aumento che l’ha fatta scalare in classifica dall’11° all’8° posto.

Israele

La spesa militare di Israele, seconda dietro l’Arabia Saudita nella regione del Medioriente, ha fatto un balzo del 24% raggiungendo i 27,5 miliardi di dollari, trainata, principalmente, dall’ offensiva a Gaza.

Gli stati membri della Nato hanno sborsato 1.341 miliardi di dollari, pari al 55% della spesa mondiale. Undici dei suoi 31 membri hanno raggiunto l’obiettivo del 2% del Pil, 4 paesi in più rispetto al 2022.

Tutti gli stati dell’Alleanza atlantica hanno aumentato il loro esborso militare. Calato solo in tre: Grecia (-17%), Italia (-5,9%) e Romania (-4,7%).

Il calo dell’Italia

Il dato dell’Italia, secondo la Rete italiana pace e disarmo, deve essere interpretato. Infatti, quel calo «è in contrasto con le cifre di Bilancio ufficiali. Probabilmente deriva da trasformazioni relative al cambio di valuta e all’inflazione. È vero che con l’avvento dell’Esecutivo Meloni, il governo ha forse impedito il concretizzarsi di alcune decisioni di aumento. Ma è altrettanto vero che le stime per il 2024 (sempre tratte dai Bilanci ufficiali dello Stato) già raccontano di un balzo simile a quello in corso in tutto il mondo: la spesa militare italiana complessiva “diretta” per il 2024 sarà di circa 28,1 miliardi di euro, con un aumento di oltre 1.400 milionirispetto alle medesime valutazioni effettuate sul 2023. Una crescita derivante soprattutto dagli investimenti in nuovi sistemi d’armasommando i fondi della Difesa destinati a tale scopo con quelli di altri Dicasteri nel 2024 per la prima volta l’Italia destinerà una cifra di circa 10 miliardi di euro agli investimenti sugli armamenti».

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Podcast Politica e Società Sudafrica
L'era dell'Anc sta per finire? È la domanda da cui parte il dossier di Nigrizia di maggio
Africa Oggi podcast / Sudafrica: chi ha disperso l’eredità di Mandela
02 Maggio 2024
Articolo di Redazione
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A statue of Nelson Mandela on Naval Hill overlooking Bloemfontei
Una statua di Nelson Mandela a Bloemfontein. Foto di South African Tourism

Sudafrica al voto il 29 maggio, ma gli elettori non credono più nel partito che fu del leader anti apartheid e chiedono conto delle promesse mancate. Ascolta qui le anticipazioni del dossier di Nigrizia di maggio, con Brando Ricci

Al via a Milano e in tutta Italia su Mymovies, il Festival Cinema Africa, Asia e America Latina (Fescaal). Una breve guida da Simona Cella.

 

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Migrazioni Pace e Diritti Politica e Società Rwanda
La polizia britannica rastrella i migranti dalle case. L’Irlanda bussa a Sunak per restituire chi attraversa i confini
Regno Unito: prima deportazione in Rwanda
02 Maggio 2024
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 2 minuti
Il segretario agli interni britannico James Cleverley in visita in Rwanda. Foto dal profilo Flickr del governo del Regno Unito.

Sui giornali inglesi la notizia è certa: c’è stata la prima deportazione di una persona migrante verso il Rwanda. Il primo ministro britannico Rishi Sunak lo aveva dato per certo e prossimo e così è stato: un uomo, cui è stata respinta lo scorso anno la richiesta di asilo, ha accettato di esser trasferito nel paese africano e, per questo, ha ricevuto in cambio un pagamento fino a 3mila sterline.

L’eminenza di voli più consistenti nelle prossime settimane è suggerita dalle immagini pubblicate dal ministero degli interni. In un video si vedono forze di polizia che prelevano dalle loro abitazioni persone migranti ammanettate, destinate alla deportazione. Una decisione votata lo scorso 22 aprile, che ha lo scopo di dissuadere l’attraversamento della Manica dalla Francia verso la Gran Bretagna.

Costi fuori scala 

Un’accelerazione tanto attesa da Sunak, che si era dovuto fermare per una sentenza della Corte suprema britannica e che è ancora sotto attacco sia da parte delle associazioni umanitarie, che sottolineano come il Rwanda non sia paese sicuro, sia da chi ha bocciato il patto, considerato troppo oneroso economicamente: ammonterebbe a 1,8 milioni di sterline il costo della deportazione per migrante, per un totale di 500milioni.

Intanto, visto il via libera votato dalle due camere del parlamento inglese, il governo di Dublino si porta avanti con la decisione di rimpatriare verso il Regno unito le persone che attraversano il confine tra Irlanda del nord e Repubblica d’Irlanda. Un piano in tal senso dovrebbe diventare legge entro fine maggio. Ma anche qua c’è stata, a marzo, una presa di posizione dell’Alta corte irlandese che ha definito il Regno Unito paese non sicuro, proprio in conseguenza del fatto che il Rwanda, destinazione della deportazione delle persone richiedenti, non lo è.

Di fatto il governo irlandese lamenta la presenza di oltre 1.400 migranti irregolari senza alloggio, in gran parte accampati lungo Mount Street, nel centro di Dublino, dove si trova l’ufficio che esamina le richieste di protezione internazionale.

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Chiesa e Missione Politica e Società Sudafrica
Padre Paul Tatu aveva forse assistito a un femminicidio. Ne ha dato notizia padre Gianni Piccolboni
Sudafrica: ucciso a Pretoria un giornalista e missionario stimmatino
Nel paese si registra una media di 85 omicidi al giorno
02 Maggio 2024
Articolo di Redazione
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Progetto senza titolo (6)
Immagine dal profilo Facebook della Southern African Catholic Bishops' Conference

Padre Paul Tatu, missionario stimmatino e giornalista, è stato assassinato a Pretoria, capitale amministrativa del Sudafrica. A comunicare la triste notizia è stato Padre Gianni Piccolboni, 76 anni, missionario veronese dell’Istituto delle Sacre Stimmate che ha vissuto in Sudafrica per oltre 30 anni, dove è stato tra l’altro responsabile dei missionari.  

«Siamo stati informati ma non sappiamo ancora bene la dinamica dei fatti» ha chiarito padre Piccolboni. «Sembra tuttavia che padre Paul fosse stato testimone dell’uccisione di una donna». Il religoso, 45 anni, era originario del Lesotho, era laureato in giornalismo e aveva svolto un periodo di servizio presso l’ufficio comunicazioni della Conferenza dei Vescovi cattolici dell’Africa meridionale (Sacbc).

Quest’ultimo ente ha espresso il proprio cordoglio per la scomparsa di padre Paul. In una comunicazione, firmata dal Vescovo Sithembele Sipuka, presidente della Conferenza episcopale, si ricorda che il religioso stimmatino ucciso aveva lavorato con dedizione per diversi anni come responsabile dei media e delle comunicazioni della Sacbc. I vescovi cattolici della regione hanno inoltre sottolineano che l’assassinio di padre Tatu «non è un incidente isolato, ma piuttosto un esempio angosciante del deterioramento della sicurezza e della moralità in Sudafrica».

Il problema sicurezza 

A oggi il paese presenta il terzo peggior dato al mondo per quanto riguarda il tasso di omicidi ogni 100mila abitanti: ben 42, solo Isole Vergini e Giamaica fanno peggio secondo quanto registrato dalla Banca Mondiale. Stando a dati comunicati di recente dal ministro della polizia Bheki Cele, solo nel quarto trimestre del 2023 si sono verificati oltre 7.000 omicidi, per una media di circa 85 al giorno.

Il tema della sicurezza è fra i più discussi in vista delle elezioni generali che si disputeranno il 29 maggio. Secondo diversi sondaggi concordanti,  l’Africa National Congress (Anc) che governa il  paese dal 1994 rischia per la prima volta dal ritorno alla democrazia di scendere sotto il 50% dei consensi a delle consultazioni nazionali, forse anche in modo rovinoso. 

La presenza dei missionari stimmatini in Sud Africa risale al Novembre 1960, quando arrivarono i primi missionari: padre Lino Inama, padre Dario Weger, padre Primo Carnovali e fratel Giuseppe Modena. Ora la Provincia ha comunità in varie nazioni dell’Africa australe: Sud Africa, Lesotho, Botswana, Malawi e Tanzania.

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Ambiente Economia Pace e Diritti Politica e Società Tanzania
Violati i diritti alla terra dei nativi, vince la campagna di attivisti locali e Oakland Institute
Tanzania. La Banca Mondiale sospende i finanziamenti a un progetto di sviluppo turistico
Si tratta di Regrow, iniziativa per cui l'istituto aveva già messo a disposizione 150 milioni di dollari
01 Maggio 2024
Articolo di Bruna Sironi
Tempo di lettura 3 minuti
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I rangers del parco di Tanapa, Immagine dell'Oakland Institute

La Banca Mondiale ha sospeso i finanziamenti al governo della Tanzania per la realizzazione del progetto Regrow (Resilient Natural Resource Management for Tourism and Growth – Gestione delle risorse naturali resiliente per la crescita e il turismo).

L’informazione è stata diffusa nei giorni scorsi dall’Oakland Institute, centro di ricerca americano specializzato, tra l’altro, in advocacy per i diritti alla terra dei popoli nativi. L’organizzazione ha condotto una lunga campagna internazionale contro la realizzazione del progetto a fianco e per conto delle comunità che ne avevano avuto un impatto negativo.

Il progetto Regrow, per cui la Banca Mondiale ha approvato un finanziamento di 150 milioni di dollari – un centinaio già stanziati – prevede un intervento per il miglior utilizzo, la miglior gestione e il raddoppio dell’area del parco Ruaha (Ruaha National Park), conosciuto con l’acronimo di Runapa, nella zona centrale del paese. Obiettivo: aumentare i flussi turistici nell’area. Ma, come in diverse altre situazioni, a fare le spese delle decisioni governative, e dei finanziamenti internazionali, sono state le comunità rurali e native stanziate sul territorio che dovrebbe essere incluso nei confini del Runapa.

I diritti violati 

L’Oakland Institute ha documentato violazioni del diritto alla terra – con la revoca dei titoli di proprietà precedentemente concessi dalle autorità governative competenti – e gravissimi abusi contro la popolazione da parte del corpo dei ranger del parco, dipendenti dalla Tanzania National Park Authority, conosciuti con l’acronimo di Tanapa.

Solo il 18 aprile, dopo più di un anno dall’inizio della campagna condotta dall’Oakland Institute, la Banca Mondiale ha deciso di sospendere i finanziamenti al progetto Regrow e di inviare nel paese una delegazione di alto livello per valutazioni riguardanti in particolare le minacce di sfratto a circa 21mila persone stanziate sul territorio che dovrebbe essere incluso nel Runapa. Il provvedimento sarebbe in contrasto con le stesse regole che l’istituzione finanziaria mondiale si è data per concedere il proprio supporto.

«La decisione della Banca Mondiale, a lungo dovuta, di sospendere questo progetto pericoloso é un passo cruciale verso assunzione di responsabilità e giustizia. Manda un forte messaggio al governo tanzaniano: ci sono conseguenze per il suo rampante trend di abusi nel paese per sostenere il turismo. I giorni dell’impunità stanno finalmente per finire», ha dichiarato Anuradha Mittal, direttrice esecutiva dell’Istituto, nel suo incontro con la stampa.

La questione risarcimenti 

Rimane ancora aperto il problema dei risarcimenti: «… la banca deve concentrarsi su come rimediare ai danni causati alla popolazione che ha perso i suoi cari per la violenza dei ranger o ha avuto la propria vita devastata dalle restrizioni alle proprie attività economiche. Si impongono con urgenza risarcimenti adeguati per tutte le vittime del progetto», ha concluso Mittal.

La campagna di informazione ed advocacy è stata sostenuta da numerosi e autorevoli mass media, quali il The Guardian e lAssociated press, e, in Italia, da Nigrizia. In febbraio l’Istituto e l’organizzazione Rainforest Rescue hanno anche presentato al presidente della Banca Mondiale, Ajay Banga, una petizione firmata da 80.000 persone.

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