Pagina 2 – Nigrizia

Ambiente Kenya Tanzania
Oltre 500 i morti e più di 230mila gli sfollati nella regione per gli effetti della crisi climatica
Catastrofiche alluvioni in Africa orientale. Il Kenya il paese più colpito
Le piogge torrenziali che da settimane si abbattono sulla vasta regione dell’Est e del Corno d’Africa hanno provocato enormi danni all’ambiente e alle economie dei paesi colpiti, con drammatiche ripercussioni per le popolazioni. In Kenya e Tanzania l'allarme riguarda ora anche il rischio di epidemie e la carenza di cibo
08 Maggio 2024
Articolo di Bruna Sironi (da Nairobi)
Tempo di lettura 6 minuti
A Nairobi le acque hanno devastato le baraccopoli

Alla fine della scorsa settimana erano già 500 circa i morti per le alluvioni causate da El Niño, il periodico fenomeno atmosferico che colpisce con violenza sempre maggiore anche le regioni orientali dell’Africa. 228 sono i morti accertati solo in Kenya (al 5 maggio), almeno 155 in Tanzania, finora i due paesi più colpiti.

La stima è ancora, purtroppo, assolutamente parziale. Non tiene conto, ovviamente, di quelli degli ultimi giorni, in cui le piogge torrenziali sono proseguite, e in particolare di quelli provocati dal ciclone Hidaya, il più forte mai registrato nella regione bagnata dall’Oceano Indiano meridionale, che ha colpito in particolare l’isola di Mafia, al largo delle coste della Tanzania, nello scorso fine settimana.

Ma problemi più o meno rilevanti si sono avuti anche a Gibuti e in Somalia, Rwanda, Burundi, Etiopia, Uganda, Eritrea, Sud Sudan. Cioè in tutti o quasi i paesi della vasta regione dell’Est e del Corno d’Africa, secondo il servizio meteorologico fornito dall’IGAD, l’organizzazione regionale per lo sviluppo, che in un comunicato stampa del 26 aprile si dice disponibile a collaborare con gli stati membri per far fronte alle crescenti sfide climatiche per mezzo di strategie di attenuazione del danno e di adattamento alle nuove condizioni.

Sottolinea, inoltre, la necessità di una stretta collaborazione regionale. “Lavorare insieme è la nostra più forte risorsa nel governare le sfide da fronteggiare e costruire un futuro resiliente per le generazioni future”.

Il comunicato dell’IGAD dice in sostanza che l’evento meteorologico che ha devastato la regione nelle scorse settimane non può essere considerato come episodico ed eccezionale a causa della crisi climatica che presenterà sfide sempre crescenti. E una lista di danni per i quali i paesi della regione, certamente non tra i maggiori responsabili della situazione, potranno difficilmente pagare il conto.

Secondo dati parziali di OCHA, l’organizzazione dell’ONU che coordina gli interventi di emergenza, solo nei paesi in cui sono già state organizzate operazioni di soccorso, sono state danneggiate dalle alluvioni complessivamente 637mila persone; 237mila hanno dovuto abbandonare le proprie case distrutte dalla furia della pioggia, dalle inondazioni, dalle frane.

Intanto stanno cominciano le epidemie. 44mila sono i casi di colera accertati negli ultimi mesi, ma nelle prossime settimane il contagio potrebbe esplodere. Le alluvioni hanno infatti fatto tracimare le latrine e le fogne a cielo aperto che si trovano non solo nelle zone rurali e negli slum, ma anche nei quartieri residenziali, popolari e non, di molte città, compresa Nairobi, la più sviluppata e moderna della regione.

Senza contare le carcasse degli animali uccisi dalla forza dell’acqua che sarà molto difficile rimuovere in modo igienicamente sicuro. Migliaia di animali domestici, di capi di bestiame e di animali selvatici sono rimasti vittime dell’alluvione e si stanno putrefacendo nei campi e nei pianori allagati.

Il Kenya il paese più colpito

Particolarmente colpita la fauna selvatica del parco nazionale del Masai Mara, in Kenya, con danni all’ambiente e all’economia del paese che potranno essere valutati con precisione solo in futuro. L’alluvione del parco è stata una pessima avventura anche per i numerosi turisti ospiti dei resort di lusso che si trovano al suo interno che hanno potuto essere portati in salvo solo con gli elicotteri.

Non si contano i danni ad infrastrutture chiave per la viabilità e per i servizi di base alla popolazione. Numerosi i ponti crollati, le strade spazzate via, i viadotti che hanno riportato danni strutturali da analizzare, le scuole e i presidi sanitari nelle aree rurali allagati o diventati centri per il soccorso agli sfollati.

In Kenya la situazione è tale che le scuole primarie e secondarie sono state chiuse a tempo indeterminato in tutto il paese. La comunicazione è stata data dallo stesso presidente William Ruto il 3 maggio, durante un discorso alla nazione in cui ha detto anche di stare vigili perché “il peggio potrebbe non essere ancora arrivato”.

Le previsioni meteorologiche, infatti, promettono altri giorni, se non settimane, di piogge torrenziali. Ora l’allarme riguarda soprattutto il livello raggiunto dall’acqua nei bacini di numerose dighe e dighette. Si temono altre tragedie come quella di Mai Mahiu, nella zona di Naivasha, dove la tracimazione di un bacino ha spazzato via i villaggi a valle provocando una settantina di morti accertati e diverse decine di dispersi, sepolti sotto la massa di fango trascinato dall’acqua.

Per questo il presidente ha ordinato di evacuare tutte le zone a rischio di frane e inondazioni. La disposizione riguarda centinaia di migliaia di persone che in parte saranno ospitate in 138 campi profughi finora aperti in 18 delle 47 contee del paese. Ma molti altri potrebbero essere necessari per far fronte al crescente bisogno.

Rischio alimentare

La previsione forse più preoccupante, però, riguarda la disponibilità di cibo. Il settimanale regionale The East African n. 1540 del 4 maggio dedica l’intera prima pagina e diverse pagine interne al tema. La prima pagina introduce con il titolo Brace for Hunger (Prepariamoci alla fame), dal momento che le alluvioni hanno distrutto le coltivazioni, molte attività produttive e dunque i mezzi di sostentamento di una parte considerevole della popolazione.

Sarebbe una conseguenza ben conosciuta di una crisi climatica come quella sperimentata in queste settimane. Lo dice il Global report on Food crisis dell’ONU, fatto circolare nei giorni scorsi e citato da un articolo online del giornale tedesco Deutsche Welle che continua ricordando che “storicamente, in Africa diversi periodi di scarsità di cibo sono stati legati al El Niño, come la crisi alimentare del 1982-1984, la più grave che si ricordi”.

Si stima che allora, nel Corno d’Africa e nel Sahel, morirono di fame centinaia di migliaia di persone. Anche altri periodi di carestia nella regione sarebbero legati ai fenomeni meteorologici legati a El Niño o al suo opposto, La Niña, come durante la siccità degli anni 2020-2023.

Sembra dunque che, nonostante il passare degli anni e il miglioramento delle tecniche e dei mezzi per prevedere le emergenze climatiche, poco sia cambiato nell’affrontare le crisi alimentari conseguenti. Dio non voglia che anche questa volta si debba sperimentare la carestia dopo aver vissuto il disastro delle alluvioni.

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Economia Etiopia Unione Africana
La reputazione della Banca commerciale etiope ai minimi storici
A rischio le casse dell’Unione Africana
L’organizzazione ha confermato un tentativo di frode sui conti bancari della sede centrale di Addis Abeba. Coinvolta una filiale della Banca commerciale dell’Etiopia, a cui già nel marzo scorso erano stati prelevati in modo illecito decine di milioni di dollari
14 Maggio 2024
Articolo di Rocco Bellantone
Tempo di lettura 4 minuti
La sede dell'Unione Africana ad Addis Abeba

La Banca commerciale dell’Etiopia continua a fare acqua da tutte le parti. Dopo che a metà marzo un problema tecnico aveva permesso a migliaia di suoi clienti di ritirare più soldi di quanti ne possedessero nei loro conti, ad aprile a fare le spese dei disservizi dell’istituto di credito pubblico etiope è stata l’Unione Africana.

La notizia è stata confermata il 30 aprile dalla stessa UA che in un comunicato ha dichiarato un tentativo di frode sui suoi conti registrati nella filiale della Banca commerciale dell’Etiopia, situata all’interno del quartier generale dell’Unione di Addis Abeba.

Il fatto risale al 15 aprile. Quel giorno un uomo si è presentato nella filiale, ha mostrato dei documenti falsi contrassegnati con il logo e i timbri dell’UA ed effettuato una serie di ordini di bonifico dai conti dell’istituzione per un ammontare di oltre 6 milioni di dollari. La cifra sarebbe dovuta finire su quattro conti bancari esterni all’istituzione per delle spese imprecisate per l’acquisto di macchinari e l’esecuzione di lavori per la costruzione di pozzi d’acqua. Insospettiti i funzionari della banca hanno chiesto un riscontro al dipartimento finanziario dell’UA e non avendo conferma hanno bloccato le transazioni. L’uomo è stato fermato dalla sicurezza e prelevato dalla polizia per essere interrogato.

Il suo nome è Belay Mekonnen, vicedirettore generale del patriarcato della Chiesa ortodossa etiope Tewahedo (“unitaria”), tra i sacerdoti che nel 2023 avevano tentato di formare un patriarcato indipendente da quello centrale nella regione di Oromia e nel Tigray. La Chiesa ha subito preso le distanze dall’accaduto, dichiarando di non essere a conoscenza delle intenzioni del sacerdote. Insieme a lui sono state fermate le quattro persone a cui erano intestati i conti a cui il prete voleva indirizzare i fondi dell’UA.

Provando a difendersi di fronte alle domande della polizia, Mekonnen ha detto di essere stato raggirato. Dalle prime ricostruzioni della vicenda è emerso che sui documenti falsificati che aveva presentato alla filiale della Banca commerciale dell’Etiopia erano state apposte le firme di Betelehem Wogayehu e Hamza Sahl, funzionari dell’UA a cui però dal gennaio di quest’anno è stata revocata l’autorizzazione a rilasciare ordini di pagamento dai conti dell’istituzione.

La filiale della Banca commerciale dell’Etiopia gestisce i conti bancari della sede centrale dell’UA di Addis Abeba da circa vent’anni. Da allora le sue attività sono cresciute e oggi ha in carico, tra gli altri, anche i conti di un altro importante organismo africano, l’Africa CDC, il centro africano per il controllo e la prevenzione delle malattie. Fonti interne all’UA citate da The Reporter Ethiopia hanno detto che i funzionari del dipartimento finanziario dell’organizzazione starebbero valutando la possibilità di trasferire all’estero il grosso della liquidità nelle casse dell’organizzazione.

«Questa è la terza volta che i nostri conti subiscono frodi» ha detto una delle fonti rimasta anonima. «Siamo preoccupati perché questi tentativi provengono da persone rispettabili. Non abbiamo alcuna garanzia che un giorno i funzionari dell’UA non facciano la stessa cosa. Stiamo perdendo la fiducia, quindi abbiamo deciso di trattenere in Etiopia per gli stipendi solo una piccola quantità di forex (il cambio valutario che consiste nella conversione di una valuta in un’altra, ndr)».

Ciò che è certo, per il momento, è che dopo questo nuovo episodio la reputazione della Banca commerciale etiope è piombata ai minimi storici. Dei quasi 20 milioni di dollari “extra” che a metà marzo erano stati prelevati dai suoi correntisti attraverso 490mila transazioni effettuate in poche ore, ne sarebbero stati recuperati circa 14 milioni. Anche se secondo diversi media locali le perdite in realtà sarebbero state molto più ingenti, fino a 40 milioni di dollari. Fondato più di ottant’anni fa, l’istituto di credito pubblico etiope incamera oggi i conti bancari di 38 milioni di clienti. Ma il suo nome non sembra essere più sinonimo di affidabilità. E a rendersene conto, adesso, è uno dei suoi correntisti più importanti, l’Unione Africana.

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Alex Zanotelli Politica e Società Sudafrica
Fermoposta / Maggio 2024
L’Anc ha tradito il grande sogno sudafricano, ma c’è ancora speranza
Il partito che ha governato il paese per 30 anni, dalla fine dell’apartheid nel 1994, ha stinto la "nazione arcobaleno" nel grigiore di corruzione e disuguaglianze. Pretoria ha dimostrato coraggio nello sfidare le violenze israeliane a Gaza, speriamo sia il segno di un rinnovato coraggio e di un futuro cambiamento
13 Maggio 2024
Articolo di Alex Zanotelli
Tempo di lettura 4 minuti
L’arcivescovo cattolico di Durban, Denis Hurley, con un cartello contro il regime segregazionista bianco

Questo articolo è uscito nel numero di Nigrizia di maggio 2024

Caro Alex,
in questo mese il Sudafrica va al voto. Le elezioni si tengono a 30 anni esatti dalla fine del regime di apartheid. Non se ne parla molto qui in Italia, come dell’Africa in genere. Leggo che in Sudafrica esiste grande corruzione e che l’African National Congress pare avere il primato in questo, il partito rischia fortemente alle urne. Quale è la tua opinione riguardo all’evoluzione di questo paese dopo le grandi speranze del tempo di Mandela, e dopo il lungo impegno che anche Nigrizia aveva assunto nella lotta contro l’apartheid? (Giulio Pisani)


Caro Giulio,
hai ragione di porre una domanda sul Sudafrica, nel 30esimo anniversario dalla liberazione dal giogo dell’apartheid imposto dai bianchi nel paese. Sì, è stata una lotta che aveva coinvolto anche Nigrizia a fianco del movimento nonviolento del popolo nero, guidato da grandi personalità religiose, come Desmond Tutu, segretario generale del Consiglio ecumenico delle chiese sudafricane, dall’arcivescovo cattolico di Durban, Denis Hurley e dal pastore Beyers Naudé. Tutte figure che avevano maturato la profonda convinzione che l’apartheid era la negazione della dignità umana e quindi contraria al Vangelo.

Ma le loro Chiese, anglicana, cattolica, chiesa riformata olandese erano tutte schierate a fianco del governo bianco. Denis Hurley, per esempio, era solo all’interno della Conferenza episcopale, (quante volte l’ho visto piangere come un bambino!) Ecco perché è stato fondamentale l’appoggio esterno alla loro lotta. È quanto ha fatto Nigrizia in quel periodo, sostenendo la loro resistenza. Lo abbiamo fatto anche con le Arene di Pace, ospitando il teologo di una forza straordinaria come Beyers Naudé. Ma lo abbiamo fatto soprattutto denunciando il governo italiano che vendeva armi e aerei al governo dell’apartheid, in barba all’embargo Onu.

Questo fece infuriare il governo italiano che diede inizio a una vera e propria persecuzione nei confronti di Nigrizia. Come direttore della rivista, fui convocato in Questura a Verona e interrogato dalla Digos, in merito alla fonte delle mie dichiarazioni sul nostro giornale, ma mi sono sempre rifiutato di rivelare chi mi aveva informato della vendita di armi a questi paesi. Alla fine, ho pagato con il siluramento da direttore. Per me fu una stagione di grazia e di crescita umana. Nel 1990, venne liberato dopo 27 anni di galera Nelson Mandela, leader dell’Anc (African National Congress), eletto poi nel 1994 a presidente del Sudafrica.

Fu un momento straordinario per tutto il mondo, nasceva la “nazione arcobaleno”, la realizzazione del sogno: tutti gli esseri umani, dai bianchi ai neri, hanno pari dignità e pari diritti in una società dove i beni dovevano essere equamente divisi fra tutti. Di questo sogno, cosa rimane trent’anni dopo? Direi ben poco. Il Sudafrica ha il più alto indice di disuguaglianze sociali nel mondo: il 10% più ricco possiede l’86% della ricchezza.

Purtroppo, invece di impegnarsi per la “Rivoluzione Democratica nazionale”, i leader dell’ANC hanno usato i fondi pubblici per arricchirsi. Ne è un esempio il presidente della nazione, Cyril Ramaphosa, che, ora, è diventato un multimilionario. Purtroppo, la corruzione è dilagante. Si parla di 80 miliardi di dollari di fondi pubblici finiti in mani private. E purtroppo l’Anc sembra primeggiare in questo. Altro fenomeno preoccupante è la crescente xenofobia contro i circa 2,4 milioni di migranti africani in cerca di lavoro in Sudafrica.

Davanti a questo quadro, il partito maggioritario che ha governato in questi 30 anni il paese, rischia di perdere la maggioranza nelle prossime elezioni.

Anche se non possiamo dimenticare il grande coraggio manifestato dal governo sudafricano nel portare davanti al Tribunale internazionale dell’Aja, lo stato di Israele, per genocidio, E questo perché il Sudafrica non può accettare quell’orribile regime di apartheid venga imposto adesso ai palestinesi. C’è solo da sperare che questo guizzo geniale, porti ora l’ANC a spazzare via i tanti angoli di apartheid che ancora sussistono nel paese.

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Conflitti e Terrorismo Egitto Sudafrica
Si incrinano i rapporti tra Il Cairo e Tel Aviv dopo l’avvio dell’intervento militare israeliano a Rafah
L’Egitto si unisce al Sudafrica nel denunciare un genocidio a Gaza
13 Maggio 2024
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 2 minuti
Il Sudafrica alla Corte internazionale di giustizia

L’Egitto, uno dei principali paesi mediatori nei colloqui di pace su Gaza, si è unito formalmente al Sudafrica nel denunciare Israele presso la Corte internazionale di giustizia (ICJ) per genocidio nella Striscia.

Un segnale di rottura del lungo legame di collaborazione tra Tel Aviv e Il Cairo.

L’Egitto ha affermato che chiederà a Israele “di rispettare i suoi obblighi come potenza occupante e di attuare le misure provvisorie emesse dall’ICJ, che richiedono di garantire l’accesso agli aiuti umanitari e di soccorso in modo da soddisfare i bisogni dei palestinesi nella Striscia di Gaza”.

Il ministero degli Esteri egiziano ha dichiarato di essere intervenuto sulla questione a causa delle crescenti operazioni di Israele a Gaza, in particolare a Rafah.

Fonti della sicurezza egiziane, tra l’altro, hanno accusato Israele di essere responsabile della rottura dei colloqui di pace al Cairo e delle crescenti tensioni tra i due vicini. Tensioni che sono aumentate, soprattutto nelle aree di confine come, appunto, la città di Rafah, dove nell’ultima settimana le operazioni dell’esercito israeliano si sono intensificate.

Nel dicembre 2023, due mesi dopo l’inizio dell’intervento militare israeliano nella Striscia, il Sudafrica ha intentato presso il Tribunale internazionale dell’Aia una causa in cui accusa Israele di perpetrare un genocidio nei confronti della popolazione palestinese.

Con una sentenza del 26 gennaio, la Corte internazionale, ritenendo “plausibile” l’esistenza di un genocidio, aveva esortato Israele a ridimensionare la sua offensiva e a ridurre i danni causati ai civili. Due mesi dopo ordinava a Israele di garantire l’accesso senza restrizioni di aiuti umanitari.

Al momento della prima udienza le vittime a Gaza erano 28mila, di cui oltre la metà donne e bambini. Secondo l’ultimo aggiornamento fornito dall’autorità palestinese, il bilancio oggi ha oltrepassato le 35mila.

Il 10 maggio il Sudafrica ha dunque chiesto al tribunale delle Nazioni Unite di emanare ordini urgenti per la sospensione dell’attacco israeliano e il ritiro dei militari da Rafah.

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Benin Economia Niger Politica e Società
Il Benin blocca l’esportazione di petrolio nigerino in reazione alla mancata riapertura della frontiera da parte del Niger
Benin e Niger in disputa su oleodotto e frontiera
13 Maggio 2024
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 2 minuti

Sabato scorso, il primo ministro nigerino Ali Mahaman Lamine Zeine ha dichiarato che il Benin sta agendo in violazione di accordi commerciali presi con il Niger e con società cinesi. Zeine contesta la decisione beninese – annunciata la settimana passata – di impedire l’esportazione del petrolio nigerino tramite il blocco del carico delle navi petroliere in Benin.

I due paesi sono uniti commercialmente dall’oleodotto più grande dell’Africa continentale, lungo quasi 2mila chilometri. L’infrastruttura consente di far arrivare il petrolio dal Niger – che non ha uno sbocco sul mare – fino alla città portuale beninese di Sémè Kraké. L’acquirente finale è la compagnia cinese China National Petroleum Corp (CNPC). 

Le affermazioni di Zeine sono arrivate in risposta alle dichiarazioni rilasciate il giorno precedente da Patrice Talon, presidente del Benin. Quest’ultimo aveva confermato la decisione di sospendere le operazioni di carico delle navi petroliere cinesi fino all’avvenuta riapertura della frontiera da parte del Niger. Talon rimprovera a Niamey di continuare a tenere chiuso il passaggio doganale, mentre il Benin l’ha già riaperto a fine febbraio, a seguito della levata delle sanzioni imposte dalla Comunità economica degli stati occidentali (ECOWAS/CEDEAO) contro il Niger per il colpo di stato del luglio scorso.

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