Pagina 2 – Nigrizia

Conflitti e Terrorismo Mostafa El Ayoubi
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Al Kantara / Maggio 2024
Il raid iraniano cambia gli equilibri del Medioriente
È la prima azione di Teheran in territorio israeliano dalla rivoluzione sciita del 1979. Attacco che cambia le regole del gioco; un avvertimento a Israele che la guerra sarebbe disastrosa
08 Maggio 2024
Articolo di Mostafa El Ayoubi
Tempo di lettura 1 minuti

Questo articolo è uscito nel numero di Nigrizia di maggio 2024.

Il raid militare di Israele contro il consolato iraniano a Damasco, il 1° aprile scorso, ha ulteriormente complicato la situazione securitaria in Medioriente. La guerra contro Gaza ha provocato la mobilitazione di quello che viene chiamato l’asse di resistenza: gli hezbollah libanesi, gli huthi yemeniti e il movimento Mobilitazione popolare iracheno sono entrati in conflitto […]
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Economia Etiopia Unione Africana
La reputazione della Banca commerciale etiope ai minimi storici
A rischio le casse dell’Unione Africana
L’organizzazione ha confermato un tentativo di frode sui conti bancari della sede centrale di Addis Abeba. Coinvolta una filiale della Banca commerciale dell’Etiopia, a cui già nel marzo scorso erano stati prelevati in modo illecito decine di milioni di dollari
14 Maggio 2024
Articolo di Rocco Bellantone
Tempo di lettura 4 minuti
La sede dell'Unione Africana ad Addis Abeba

La Banca commerciale dell’Etiopia continua a fare acqua da tutte le parti. Dopo che a metà marzo un problema tecnico aveva permesso a migliaia di suoi clienti di ritirare più soldi di quanti ne possedessero nei loro conti, ad aprile a fare le spese dei disservizi dell’istituto di credito pubblico etiope è stata l’Unione Africana.

La notizia è stata confermata il 30 aprile dalla stessa UA che in un comunicato ha dichiarato un tentativo di frode sui suoi conti registrati nella filiale della Banca commerciale dell’Etiopia, situata all’interno del quartier generale dell’Unione di Addis Abeba.

Il fatto risale al 15 aprile. Quel giorno un uomo si è presentato nella filiale, ha mostrato dei documenti falsi contrassegnati con il logo e i timbri dell’UA ed effettuato una serie di ordini di bonifico dai conti dell’istituzione per un ammontare di oltre 6 milioni di dollari. La cifra sarebbe dovuta finire su quattro conti bancari esterni all’istituzione per delle spese imprecisate per l’acquisto di macchinari e l’esecuzione di lavori per la costruzione di pozzi d’acqua. Insospettiti i funzionari della banca hanno chiesto un riscontro al dipartimento finanziario dell’UA e non avendo conferma hanno bloccato le transazioni. L’uomo è stato fermato dalla sicurezza e prelevato dalla polizia per essere interrogato.

Il suo nome è Belay Mekonnen, vicedirettore generale del patriarcato della Chiesa ortodossa etiope Tewahedo (“unitaria”), tra i sacerdoti che nel 2023 avevano tentato di formare un patriarcato indipendente da quello centrale nella regione di Oromia e nel Tigray. La Chiesa ha subito preso le distanze dall’accaduto, dichiarando di non essere a conoscenza delle intenzioni del sacerdote. Insieme a lui sono state fermate le quattro persone a cui erano intestati i conti a cui il prete voleva indirizzare i fondi dell’UA.

Provando a difendersi di fronte alle domande della polizia, Mekonnen ha detto di essere stato raggirato. Dalle prime ricostruzioni della vicenda è emerso che sui documenti falsificati che aveva presentato alla filiale della Banca commerciale dell’Etiopia erano state apposte le firme di Betelehem Wogayehu e Hamza Sahl, funzionari dell’UA a cui però dal gennaio di quest’anno è stata revocata l’autorizzazione a rilasciare ordini di pagamento dai conti dell’istituzione.

La filiale della Banca commerciale dell’Etiopia gestisce i conti bancari della sede centrale dell’UA di Addis Abeba da circa vent’anni. Da allora le sue attività sono cresciute e oggi ha in carico, tra gli altri, anche i conti di un altro importante organismo africano, l’Africa CDC, il centro africano per il controllo e la prevenzione delle malattie. Fonti interne all’UA citate da The Reporter Ethiopia hanno detto che i funzionari del dipartimento finanziario dell’organizzazione starebbero valutando la possibilità di trasferire all’estero il grosso della liquidità nelle casse dell’organizzazione.

«Questa è la terza volta che i nostri conti subiscono frodi» ha detto una delle fonti rimasta anonima. «Siamo preoccupati perché questi tentativi provengono da persone rispettabili. Non abbiamo alcuna garanzia che un giorno i funzionari dell’UA non facciano la stessa cosa. Stiamo perdendo la fiducia, quindi abbiamo deciso di trattenere in Etiopia per gli stipendi solo una piccola quantità di forex (il cambio valutario che consiste nella conversione di una valuta in un’altra, ndr)».

Ciò che è certo, per il momento, è che dopo questo nuovo episodio la reputazione della Banca commerciale etiope è piombata ai minimi storici. Dei quasi 20 milioni di dollari “extra” che a metà marzo erano stati prelevati dai suoi correntisti attraverso 490mila transazioni effettuate in poche ore, ne sarebbero stati recuperati circa 14 milioni. Anche se secondo diversi media locali le perdite in realtà sarebbero state molto più ingenti, fino a 40 milioni di dollari. Fondato più di ottant’anni fa, l’istituto di credito pubblico etiope incamera oggi i conti bancari di 38 milioni di clienti. Ma il suo nome non sembra essere più sinonimo di affidabilità. E a rendersene conto, adesso, è uno dei suoi correntisti più importanti, l’Unione Africana.

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Alex Zanotelli Politica e Società Sudafrica
Fermoposta / Maggio 2024
L’Anc ha tradito il grande sogno sudafricano, ma c’è ancora speranza
Il partito che ha governato il paese per 30 anni, dalla fine dell’apartheid nel 1994, ha stinto la "nazione arcobaleno" nel grigiore di corruzione e disuguaglianze. Pretoria ha dimostrato coraggio nello sfidare le violenze israeliane a Gaza, speriamo sia il segno di un rinnovato coraggio e di un futuro cambiamento
13 Maggio 2024
Articolo di Alex Zanotelli
Tempo di lettura 4 minuti
L’arcivescovo cattolico di Durban, Denis Hurley, con un cartello contro il regime segregazionista bianco

Questo articolo è uscito nel numero di Nigrizia di maggio 2024

Caro Alex,
in questo mese il Sudafrica va al voto. Le elezioni si tengono a 30 anni esatti dalla fine del regime di apartheid. Non se ne parla molto qui in Italia, come dell’Africa in genere. Leggo che in Sudafrica esiste grande corruzione e che l’African National Congress pare avere il primato in questo, il partito rischia fortemente alle urne. Quale è la tua opinione riguardo all’evoluzione di questo paese dopo le grandi speranze del tempo di Mandela, e dopo il lungo impegno che anche Nigrizia aveva assunto nella lotta contro l’apartheid? (Giulio Pisani)


Caro Giulio,
hai ragione di porre una domanda sul Sudafrica, nel 30esimo anniversario dalla liberazione dal giogo dell’apartheid imposto dai bianchi nel paese. Sì, è stata una lotta che aveva coinvolto anche Nigrizia a fianco del movimento nonviolento del popolo nero, guidato da grandi personalità religiose, come Desmond Tutu, segretario generale del Consiglio ecumenico delle chiese sudafricane, dall’arcivescovo cattolico di Durban, Denis Hurley e dal pastore Beyers Naudé. Tutte figure che avevano maturato la profonda convinzione che l’apartheid era la negazione della dignità umana e quindi contraria al Vangelo.

Ma le loro Chiese, anglicana, cattolica, chiesa riformata olandese erano tutte schierate a fianco del governo bianco. Denis Hurley, per esempio, era solo all’interno della Conferenza episcopale, (quante volte l’ho visto piangere come un bambino!) Ecco perché è stato fondamentale l’appoggio esterno alla loro lotta. È quanto ha fatto Nigrizia in quel periodo, sostenendo la loro resistenza. Lo abbiamo fatto anche con le Arene di Pace, ospitando il teologo di una forza straordinaria come Beyers Naudé. Ma lo abbiamo fatto soprattutto denunciando il governo italiano che vendeva armi e aerei al governo dell’apartheid, in barba all’embargo Onu.

Questo fece infuriare il governo italiano che diede inizio a una vera e propria persecuzione nei confronti di Nigrizia. Come direttore della rivista, fui convocato in Questura a Verona e interrogato dalla Digos, in merito alla fonte delle mie dichiarazioni sul nostro giornale, ma mi sono sempre rifiutato di rivelare chi mi aveva informato della vendita di armi a questi paesi. Alla fine, ho pagato con il siluramento da direttore. Per me fu una stagione di grazia e di crescita umana. Nel 1990, venne liberato dopo 27 anni di galera Nelson Mandela, leader dell’Anc (African National Congress), eletto poi nel 1994 a presidente del Sudafrica.

Fu un momento straordinario per tutto il mondo, nasceva la “nazione arcobaleno”, la realizzazione del sogno: tutti gli esseri umani, dai bianchi ai neri, hanno pari dignità e pari diritti in una società dove i beni dovevano essere equamente divisi fra tutti. Di questo sogno, cosa rimane trent’anni dopo? Direi ben poco. Il Sudafrica ha il più alto indice di disuguaglianze sociali nel mondo: il 10% più ricco possiede l’86% della ricchezza.

Purtroppo, invece di impegnarsi per la “Rivoluzione Democratica nazionale”, i leader dell’ANC hanno usato i fondi pubblici per arricchirsi. Ne è un esempio il presidente della nazione, Cyril Ramaphosa, che, ora, è diventato un multimilionario. Purtroppo, la corruzione è dilagante. Si parla di 80 miliardi di dollari di fondi pubblici finiti in mani private. E purtroppo l’Anc sembra primeggiare in questo. Altro fenomeno preoccupante è la crescente xenofobia contro i circa 2,4 milioni di migranti africani in cerca di lavoro in Sudafrica.

Davanti a questo quadro, il partito maggioritario che ha governato in questi 30 anni il paese, rischia di perdere la maggioranza nelle prossime elezioni.

Anche se non possiamo dimenticare il grande coraggio manifestato dal governo sudafricano nel portare davanti al Tribunale internazionale dell’Aja, lo stato di Israele, per genocidio, E questo perché il Sudafrica non può accettare quell’orribile regime di apartheid venga imposto adesso ai palestinesi. C’è solo da sperare che questo guizzo geniale, porti ora l’ANC a spazzare via i tanti angoli di apartheid che ancora sussistono nel paese.

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Conflitti e Terrorismo Sudan
Popolazione sotto il fuoco incrociato a El Fasher, capitale del Nord Darfur
Sudan: RSF accusate esecuzioni di civili in “camere della morte” a Khartoum
14 Maggio 2024
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 3 minuti

Una rete di “camere della morte” allestite dai paramilitari Forze di supporto rapido (RSF) all’interno di abitazioni occupate nella capitale Khartoum, in cui sarebbero stati giustiziati decine di civili con forche e ghigliottine.

È quanto rivela una dettagliata inchiesta del quotidiano Sudan Tribune che ha raccolto le testimonianze di numerosi attivisti che riferiscono dell’esistenza di almeno 14 stanze segrete adibite a esecuzioni extragiudiziali a Khartoum e nelle città gemelle di Bahri e Omdurman.

Strutture che si presume siano supervisionate da ufficiali che agiscono in qualità di giudici, emettendo condanne a morte per civili accusati di collaborare con l’intelligence dell’esercito.

“I residenti recentemente tornati nelle aree precedentemente controllate dalle RSF – scrive il quotidiano – hanno fornito resoconti agghiaccianti”. Che si aggiungono a video circolanti sui social media e ai rapporti di esecuzioni e pulizie etniche commesse dalle forze combattenti in tutto il paese.

Impiccati o ghigliottinati. Sarebbero decine le persone giustiziate sommariamente, secondo i racconti dei testimoni, i cui corpi sono stati abbandonati all’interno degli edifici o trasportati altrove. Un altro tassello degli orrori finora emersi di questa guerra, crimini commessi da entrambe le parti in conflitto.

Una guerra che vede attualmente le RSF mantenere il controllo della città di Khartoum, mentre l’esercito ha riconquistato Omdurman e porzioni significative di Bahri.

Civili sotto attacco a El Fasher

Ma crimini contro la popolazione si stanno continuando a perpetrare anche sul fronte occidentale, e in particolare nella città di El Fasher, nel Nord Darfur (quasi 2 milioni di abitanti e circa 800mila rifugiati fuggiti dai combattimenti nelle altre province della regione), l’unica capitale della vasta regione rimasta ancora in mano all’esercito.

El Fasher è sotto l’assedio dei paramilitari e delle milizie arabe alleate, radunati a migliaia da settimane attorno alla città, dove hanno iniziato a fare, letteralmente, terra bruciata. Il Center for Information Resilience riferisce che ad aprile sono stati dati alle fiamme 32 villaggi in un raggio di 50 km attorno alla capitale, con decine di morti e feriti.

E dal 10 maggio scorso è iniziata l’offensiva con pesanti combattimenti di terra e attacchi aerei, e con il rischio di una nuova carneficina di civili.

Negli ultimi giorni si sono moltiplicate le condanne e gli appelli delle organizzazioni delle Nazioni Unite: dall’UNICEF all’Ufficio per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA), fino allo stesso Segretario generale Antonio Guterres che si è detto “gravemente preoccupato” e “allarmato dalle notizie sull’uso di armi pesanti in aree densamente popolate che hanno provocato decine di vittime civili, spostamenti significativi e la distruzione di infrastrutture”.

Appelli ai quali si sono uniti quelli dell’Unione Europea e di Medici senza Frontiere, una delle poche organizzazioni internazionali ancora operative in città, costretta a chiudere l’ospedale pediatrico Babiker Nahar – uno dei pochi specializzati nella cura dei bambini rimasti operativi dall’inizio della guerra – colpito la sera dell’11 maggio da un attacco aereo che ha ucciso un operatore sanitario e due bambini.

MSF chiede urgentemente a tutte le parti in conflitto di proteggere i civili e garantire la protezione delle strutture sanitarie, come sono obbligate a fare ai sensi del diritto internazionale umanitario e della dichiarazione di Jeddah, accordo per la tutela dei civili e per l’accesso degli aiuti umanitari alla popolazione, firmata esattamente un anno fa e costantemente disattesa.

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Benin Economia Niger Politica e Società
Il Benin blocca l’esportazione di petrolio nigerino in reazione alla mancata riapertura della frontiera da parte del Niger
Benin e Niger in disputa su oleodotto e frontiera
13 Maggio 2024
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 2 minuti

Sabato scorso, il primo ministro nigerino Ali Mahaman Lamine Zeine ha dichiarato che il Benin sta agendo in violazione di accordi commerciali presi con il Niger e con società cinesi. Zeine contesta la decisione beninese – annunciata la settimana passata – di impedire l’esportazione del petrolio nigerino tramite il blocco del carico delle navi petroliere in Benin.

I due paesi sono uniti commercialmente dall’oleodotto più grande dell’Africa continentale, lungo quasi 2mila chilometri. L’infrastruttura consente di far arrivare il petrolio dal Niger – che non ha uno sbocco sul mare – fino alla città portuale beninese di Sémè Kraké. L’acquirente finale è la compagnia cinese China National Petroleum Corp (CNPC). 

Le affermazioni di Zeine sono arrivate in risposta alle dichiarazioni rilasciate il giorno precedente da Patrice Talon, presidente del Benin. Quest’ultimo aveva confermato la decisione di sospendere le operazioni di carico delle navi petroliere cinesi fino all’avvenuta riapertura della frontiera da parte del Niger. Talon rimprovera a Niamey di continuare a tenere chiuso il passaggio doganale, mentre il Benin l’ha già riaperto a fine febbraio, a seguito della levata delle sanzioni imposte dalla Comunità economica degli stati occidentali (ECOWAS/CEDEAO) contro il Niger per il colpo di stato del luglio scorso.

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